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A DANGEROUS METHOD Film con lo stesso punteggioFilm con lo stesso punteggioFilm con lo stesso punteggioFilm con lo stesso punteggio
  Stampa questa scheda Data della recensione: 5 ottobre 2011
 
di David Cronenberg, con Viggo Mortensen, Michael Fassbender, Keira Knightley, Vincent Cassel (Canada, 2011)
 
Da una parte un personaggio per il cinema, e non solo, impossibile da circoscrivere come Sigmund Freud; dall'altra l'allievo, in seguito rivale Carl Gustav Jung. E, fra i due mostri sacri, la giovane psicoanalista russa Sabina Spielrein, paziente, amante, discepola. Di lei, Freud confermò l'apporto alla scienza, oltre che alla progressiva tensione fra i due; a Jung non restava allora che contraddirlo.

Dall'ospedale Burghölzli nella Zurigo del 1904 a Vienna, traendolo dalla pièce teatrale dal titolo emblematco The Talking Cure di Christopher Hampton, che di relazioni pericolose se ne è sempre inteso, David Cronenberg ha tratto qualcosa di serio e di accattivante, come c'era da attendersi. E d'inatteso. Perché, dell'autore di CRASH si era infatti sempre detto come fosse il regista del corpo: della carne, esplorata, lacerata anche con violenza. Anche se sempre ai fini di un'indagine dello spirito e della psiche, come già era evidente in un film del 2002 come SPIDER. E di sogni, desideri repressi e pulsioni: che da elementi portanti della psicanalisi hanno segnato progressivamente le più recenti, splendide opere del regista canadese, da A HISTORY OF VIOLENCE a LA PROMESSA DELL'ASSASSINO.

“Ma il tempo passa, e ho 68 anni” ha detto a Venezia il grande cineasta canadese nel suo limpido e erudito inglese. Ed è forse anche per questo che A DANGEROUS METHOD è ormai un film sulla mente. Sui contenuti dei corpi, sulla contrapposizione fra la ragione e l'irrazionale: o, se preferite, fra l'amore e la passione. Cinema della parola (come il recente CARNAGE di Polanski), che racconta i contrasti celebri fra due metodologie psicanalitiche: con il rigore assoluto che nasce da un'implosione del filmare, da un processo di smaterializzazione espressiva affascinante. Impresa a priori impossibile, ma che la qualità di una visione rende (quasi) totalmente comprensibile.

Parrebbe inutile, a questo punto, sottolineare il solito grande Viggo Mortensen, nei panni temibili di Freud; del sorprendente e premiato Michael Fassbender in quelli ambivalenti di Jung. E la fragile, infine determinata, a tratti sconvolgente Keira Knightley che si erge, come Sabina Spielrein, fra i due giganti, eroina tragica e infine lucida.


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