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CALIFORNIA POKER
(CALIFORNIA SPLIT)
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  Stampa questa scheda Data della recensione: 27 novembre 1975
 
di Robert Altman, con George Segal, Elliott Gould, Gwen Welles, Jeff Goldblum, Ann Prentiss (Stati Uniti, 1974)
 
Con CALIFORNIA POKER Robert Altman continua, anche se forse in maniera meno precisa che in opere precedenti, quella che è una delle operazioni più affascinanti del cinema americano di oggi.

Se II COMPARI (JOHN MC CABE) era il Western, IMAGES il film piscoanalistico, BREWSTER MCCLOUD il genere fantastico, nel precedente e splendido IL LUNGO ADDIO il poliziesco, qui é la fascinazione del gioco d'azzardo: le carte, i dadi, i cavalli, la roulette, il casino. Ma anche qualsiasi occasione che possa divenire pretesto di azzardo, come scommettere con dei ragazzini a chi farà più cesti in un campo di pallacanestro. In un film di Altman non bisogna mai cercare la regola del gioco. Perché lo scopo dei suoi film è proprio quello di andare contro le regole, di denunciarne, la vanità la pericolosità.

In CALIFORNIA POKER cercherete inutilmente la febbre dostojevskiana del giocatore d'azzardo, l'alterazione morbosa per la scommessa, l'auto-distruzione dell'individuo e via dicendo. La vicenda, i personaggi, i momenti emozionanti del film non interessano ad Altman: quando i cavalli arrivano al traguardo, la cinepresa del regista riprende qualcosa d'altro, solo i suoni ci fanno comprendere quello che succede. Quando si gioca la partita di poker chiave, quella da ottantamila dollari, il regista segue l'altro personaggio, quello che non sta giocando.

Personaggi e vicenda sono immersi, letteralmente, nell'ambiente. E`questo, con i suoi personaggi (gli infiniti, fantastici caratteristi che compaiono, per un istante, nell'inquadratura), con i suoi rumori, con la sua architettura (l'appartamento delle due prostitute) che Altman vuole evidenziare al massimo. Le inquadrature si seguono incessatamente, sempre inedite, fertili di idee, alla ricerca di mille risvolti dei significati. Le situazioni sono appena abbozzate.

La logica. E` contro questa logica, ben presto mutatasi in conformismo che Altman combatte. Tutto il suo lavoro, a livello di regia cinematografica, é teso a distruggere il conformismo della scrittura, del segno. Ma tutto questo non è per nulla un puro divertimento intellettuale: denunciando il falso, l'ambiguità della convenzione cinematografica il regista denuncia di riflesso il falso, l'ambiguo di tutta una mentalità, un'epoca della società americana. Che su quei valori, facilmente consolatori, si è basata e illusa. Come Sidney Pollak, l'altro grande regista del nuovo cinema americano, Altman rivede i miti della propria educazione, rivedendo il modo di scrivere un film. Distrutta la trama, la psicolagia dei personaggi (che pure sono due bravissimi attori), la tensione emotiva del racconto, la stesura tradizionale degli avvenimenti, allo spettatore rimane una trama di fondo neutra, un ambiente splenditamente ricco di sensazioni, di umori. Su questa trama le convenzioni del gioco diventano simboli, gesti: assieme assurdo di un modo di essere. Ma quelo cinema , cosi teso a rompere le regole di un linguaggio, non è mai lontano dalla vita, non diventa mai freddamente astratto come quello, ad esempio, di un Resnais.

Sarà perché egli si sceglie degli attori cosi pregni di vita, come Elliot Gould, sarà perché ogni sua inquadratura é il riflesso stesso della vita; sarà perché ogni suo personaggio, benché abbandonato dall'anticonformismo del regista, é estremamente umano. I protagonisti dei suoi film sono gli stessi disadattati, gli stessi sbandati gli stessi solitari che hanno sovente marcato i momenti più validi di un cinema, quello americano, al quale Altman, volente o nolente appartiene.


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