Mel Brooks è un po' la scoperta dell'anno. Intendiamoci: la scoperta l'hanno fatta soprattutto i proprietari di sale, i distributori, i produttori. Perché i film del non più giovanissimo regista americano riempiono le sale, ovunque.Cosa fa Mel Brooks, e da diversi anni (solo che prima non se n'è accorto nessuno)? Prende i diversi generi cinematografici, e li mette in burla. Non è un procedimento particolarmente originale, non è che si presti a delle aperture particolarmente stimolanti per l'avvenire del cinema, non è nemmeno che lo faccia in modo del tutto geniale. I suoi detrattori non lo avvicinano nemmeno a Woody Allen, ma paragonano piuttosto i suoi film a quelli di Abbott e Costello. La particolarità delle opere di Brooks è di attirare sia il grosso pubblico che quello dei cinefili. I primi vengono per la comicità un poco pesante ma indubbia del regista; i secondi per la cura che egli mette nelle ambientazioni, per i molti riferimenti, le strizzatine d'occhio alla storia del cinema.
Si può parlare, lo avrete capito, molto male o assai bene delle sue opere. Qui ha preso a modello i celebri film di terrore che Hollywood ha girato negli anni trenta ed all'inizio dei quaranta: le «gag» comiche sono spesso o copiate dai modelli ai quali si ispira, o spesso cucite con un filo assai grosso. Per contro la cura che egli mette nel rifare la patina del tempo è squisita: gli viene soprattutto dall'uso del bianco e nero, dal tono della fotografia, dall'illuminazione in controluce, dalle scenografie che ricordano quelle dei film dell'espressionismo tedesco.
Ma la cosa più curiosa in questo FRANKENSTEIN JUNIOR sembra accadere quasi all'insaputa del regista. Come in tutti i film validi girati sul celebre personaggio (e si può ricordare il FLESH FOR FRANKEINSTEIN di Morrissey) il vero tema viene a galla tra le immagini. Anche qui, tra un effetto comico non sempre intelligente e un riferimento storico più o meno sapiente, la vera emozione del film nasce dall'incontro con la solitudine del «mostro» con quella del suo creatore, con la loro disperata sete di esistere, di comunicare, di continuare. Per strade opposte Morrissey e Brooks ci arrivano egualmente, quasi che, una volta tanto, fosse il tema dell'opera più che il modo di svolgerlo a determinarne il significato morale.