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FESTIVAL DI LOCARNO 1978 - PRESENTAZIONE
  Stampa questa scheda Data della recensione: 3 agosto 1978
 
(1978)
 
DA STASERA LOCARNO 1978: FESTIVAL, E NON FUOCHI D'ARTIFICIO

Niente dì più frustrante, per uno che scrive di cinema, parlare di festival. Primo: bisogna dire di tutto, senza saperne necessariamente di tutto. Secondo: bisogna dire poco di tutto, mentre si avrebbe voglia di parlare di poche cose, ma bene. Terzo: prima dei festival ci si chiede il miracolo, indicare i momenti privilegiati della manifestazione. La gente non vuol sprecare il proprio tempo, una cosa magari anche saggia. Ma un festival, ed in modo particolare uno come quello di Locamo dedicato alle opere di cinema nuovo, va proprio scoperto così, alla giornata. E' troppo facile dirvi di andare a vedere L'ALBERO DEGLI ZOCCOLI, che è un film dalla bellezza eterna. Ma che potrete vedere in settembre a Milano e, probabilmente, anche nel Ticino.

Altra cosa è il piacere di scoprire nel film del Canada o dell'Algeria visti in un pomeriggio di caldana, gli umori insospettati che vi porterete a lungo con voi. E che non potrete mai scoprire nella vostra sala del sabato séra. Il piacere di ricordare un Sanjines visto in quelle condizioni nella sala del Kursaal, o la splendida provincia datata di AMERICAN GRAFFITI prima che George Lucas facesse GUERRE STELLARI; o ancora il Woody Alien di PRENDI I SOLDI E SCAPPA, prima che del piccolo ebreo di Nuova York si occupassero i trattati di sociologia. Quindi, il mio invito, la mia parola d'ordine è quella di arrischiare. Non giocate soltanto sul cavallo vincente: se volete vincere davvero, arrischiate. Andate a vedere i film americani: tranne due, sono di gente sconosciuta. Ebbene, ci sono molte probabilità per le quali almeno uno di questi film sia firmato da un buon, o magari grande regista di domani, Cosa volete di più?

Poiché, malgrado le buone parole, sono perô pagato per questo, tenterò comunque l'impossibile. Cominciando dai valori sicuri: con quelli non vi sbagliate. Andate a vedere, quindi, l'Olmi: ve ne abbiamo già parlato da Cannes, un film di quelli che fanno l'unanimità, perché non appartengono alle mode, né alle regole dello spettacolo. Un film, oltre tutto, che ci commuove particolarmente perché così vicino al nostro modo di essere, di vedere, di parlare. O, meglio, al modo che era quello dei racconti dei nostri padri. Poi, COME A CASA, l'ultima opera di Marta Meszaros membro della giuria, una voce fra le più valide affermatisi nel cinema dell'Est degli ultimi anni. Poi ancora OPEN NIGHT di John Cassavetes, il regista americano partito dal mondo dell'underground e autore in seguito di una serie impressionante di opere ispirate. E scandalosamente ignorate dagli schermi internazionali (primi fra tutti, ovviamente, i nostri).

Werner Schroeter è uno dei nomi di punta del nuovo cinema tedesco, come dire del movimento probabilmente più vitale attualmente al mondo: questo suo IL REGNO DI NAPOLI presentato nelle informative di Cannes e recentissimo vincitore a Taormina, è stato definito dalla critica italiana come scarsamente rispettoso della realtà partenopea. Ma, sinceramente, non giurerei sul valore dell'affermazione. Piuttosto, conoscendo i precedenti di Schroeter, lascerei perdere se avete in mente una serata ricreativa. Per finire con gli americani, GIRLFRIENDS di Claudia Weill, che verrà presentato nella serata inaugurale: lo abbiamo visto a Cannes ed è un film sulle donne, fatto da una donna,; e che nessuno, men che meno che le donne ovviamente, dovrebbe perdersi. L'opera semplice, in sedici millimetri, che ogni esordiente sogna di fare. Di una freschezza e felicità d'ispirazione preziose.

Fra gli svizzeri c'è innanzitutto il film in concorso, che è di quel Peter von Gunten autore di un più che interessante DIE AUSLIEFERUNG: proprio qui a Locamo, nel 1974, si vide assegnare il premio speciale della giuria. Un film, il suo, sicuramente da vedere. Mentre fra quelli dell'assai esauriente informativa, VIOLANTA di Daniel Schmid, del quale qualcuno dice che è un'opera di un certo compiaciuto decadentismo. Sarà, ma Schmid è il nostro più geniale (con Tanner) regista. Sempre fra i grandi nomi, ALZIRE di Thomas Korfer, visto in febbraio a Soletta: personalmente ci sembrava un'opera un po' tanto di testa, ma per alcuni amici rappresenta uno dei momenti più alti del cinema svizzero. Quindi, per chi ama le scoperte, due suggerimenti: lo spiritosissimo SUDSEEREISE di Sebastian Schroeder (preferibilmente per chi non è completamente digiuno di schwyzerdutsch...). E il contradditorio, a tratti ingenuo, ma indubbiamente IL SANGUE SULLE LABBRA DELL'AMANTE di Christian Schocher: uno di Pontresina, che si cucina il cinema in casa con pochi amici. Nel quale non molti credono: ma che è, permettete, un mio pallino personale. Schocher è uno che il cinema ce l'ha nel sangue, il che si vede ad ogni inquadratura. Lasciate che tenga duro, questo originale, e vedrete fra qualche anno se arriva.

Per tutto il resto non posso, come voi, che dar credito a quanto ci ha raccontato il nuovo direttore Jean- Pierre Brossard nell'intervista pubblicata sullo scorso numero di Azione. I film di punta dovrebbero essere quello greco, I FANNULLONI DELLA VALLE FERTILE che Brossard avvicina alla GRANDE ABBUFFATA di Ferreri. Il film dell'Irak, CASE IN QUEL VICOLO uno dei grandi momenti del cinema arabo degli ultimi anni. L'opera presentata dal Senegal, BAKO», che si è vista assegnare, un mese fa, l'importante premio francese Jean Vigo. Detto dell'interesse dei film americani, Brossard definisce il film francese LA TORTUE SUR LE DOS addirittura come l'opera francese dell'anno; vedo che la onora della proiezione nella serata conclusiva del festival. Vorrei ancora segnalare due dei film tedeschi, quello di Helke Sander, che è una regista affermata, e l'esordio registico della brava attrice Margherite von Trotta, che collabora regolarmente con uno dei grandi nomi di quel cinema, Schloendorff. Fra i due giovani italiani in concorso, Sergio Nuti è stato avvicinato a Nanni Moretti come esempio di rinnovamento tematico e linguistico. Dovrebbe essere una buona rivelazione di questo festival.

Dopo questo pedante elenco (pare che occorra farlo) si vorrebbe girar pagina. Ma non segnalare la retrospettiva dedicata a Douglas Sirk è impossibile: la scelta denota forse la tanto invocata svolta culturale della manifestazione. Scegliere l'opera dell'ottantenne cineasta residente da anni (quanti lo sapevano?) a Lugano, significa prolungare intelligentemente un lavoro di rivalutazione di un certo tipo di cinema americano e non, iniziato da alcuni anni negli ambienti cinematografici più preparati. In questa scelta, ed in altre sulle quali ritorneremo nei prossimi due servizi ci potrebbero essere i sintomi di quella trasformazione che è, assai più di un elenco di opere più o meno riuscite, il vero perno del discorso su Locamo. Quello, cioè, della sua legittimità.

Come non mai, per averlo ripetuto da anni, siamo d'accordo sulle frasi con le quali Brossard terminava la citata intervista. Locamo, come ma ancora più di ogni altro festival, ha un senso soltanto se lascia qualcosa, del suo effimero passaggio di dieci giorni. Se riesce a farsi promotore di un discorso di divulgazione e di educazione cinematografica che si prolunghi per il resto dell'anno e si inserisca nella vita culturale del nostro paese. Se riesce, in parole semplici, a far amare il cinema non soltanto per i dieci giorni della propria durata, ma anche quando la seduzione della proiezione sulla Piazza è svanita da un pezzo. Ho visto gente litigare per i biglietti in piazza per JONAS di Tanner. E poi ho visto, sei mesi dopo, lo stesso film proiettato davanti a quattro gatti in una saletta di periferia. Se Locamo non riesce Ad ovviare, almeno in parte, a questo genere di contraddizioni, allora significa che il tempo dei festival è finito, primo fra tutti il nostro. E ben vengano, se devono lasciare il tempo che trovano, costine e fuochi artificiali.

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