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BOLERO
(LES UNS ET LES AUTRES)
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  Stampa questa scheda Data della recensione: 5 novembre 1981
 
di Claude Lelouch, con Robert Hossein, Geraldine Chaplin, Nicole Garcia, Daniel Olbrynsky, James Caan (Francia, 1981)
Sfottere il cinema di Lelouch è una tentazione alla quale pochi critici di cinema dell'ultimo decennio sono sfuggiti, il sottoscritto compreso.

LES UNS ET LES AUTRES, dopo aver concluso il Festival di Cannes del maggio scorso, è stato massacrato in patria. Gli italiani, solitamente piuttosto ottusi nei confronti del cinema transalpino (o forse proprio per questo, diranno alcuni), hanno pensato bene di ribellarsi a questa che considerano una congiura della stampa internazionale nei confronti dell'autore di Un uomo e una donna. Ribattezzato Bolero dalla distribuzione italiana (una trovata che già non mi sembra geniale: possibile considerare inedita la tiritera raveliana, oltretutto già cinematograficamente sputtanata da Blake Edwards, recentemente in Ten e, prima ancora, da Kurosawa, che è sempre stato grande in tutto eccetto nelle scelte musicali?), il film è stato incensato. Ecco finalmente del vero cinema "alla grande" si è detto se ben ricordo. Il piacere del mestiere ben fatto, l'amore per le immagini e la storia, l'onestà dei buoni sentimenti e altro.

Anche se mi divertirei maggiormente a schierarmi per una delle due parti, sfottere o giocare al bastian contrario, scelgo la strada più banale, che è quella di mezzo. Bolero è un buon Lelouch, magari uno dei migliori Lelouch. Ma quanto vale un Lelouch? Vale, sicuramente, un ottimo operatore. Le sue sequenze sono filmate in modo impeccabile. Quando ti mostra un'audizione al Bolschoi di Mosca, o la morte di un pianista alle Folies Bergères circondato dal bianco delle ballerine con le piume, il film prende quota imperiosamente. È un affresco, lunghissimo come sapremo, dagli anni del nazismo ad oggi. Quattro famiglie di musicisti, ballerini, cantanti, nei quattro Paesi più emblematici, Stati Uniti, Russia, Francia, Germania, attraverso delle vicende melodrammatiche che si vogliono anche esemplari, toccando i lager, Hitler e il Male, il collaborazionismo ed il dopoguerra, via via fino alla guerra di Algeria, ai nuovi reduci, ai contrasti generazionali, ai giovani, al pacifismo.

Un arco smisurato, dei problemi immensi, la storia che si fonde con il romanzo, il dramma coi sentimenti, una specie, insomma, di enorme romanzo popolare. Lelouch assale questa montagna con la sua abilità, lo abbiamo detto, di manipolatore della cinepresa. Come sempre si compiace un po' troppo nelle sue giravolte attorno ai personaggi, nelle sue carrellate all'indietro come nei manuali, nelle aperture con la dolly che s'inerpica ad affrescarci delle totali di grande respiro. Ma il montaggio, giocato sui contrasti emotivi (dalle Folies ai lager, dalla cabriolet dl Manhattan ai reduci della Gare de Lyon) e soprattutto l'amore e l'intuito musicale (ah, lo splendido lavoro di Michel Legrand e di Nicole Croisille... ) rilanciano continuamente questo film ambizioso e impegnativo.

È quando dal generale scendiamo al particolare che le cose cominciano a guastarsi: Lelouch le sequenze le comincia magari bene, ma non riesce mai a finirle. Gira attorno al problema riproponendoci due, tre volte la medesima soluzione formale, perfetta ma non sempre originalissima. Il corrimano dl una scala, un teatro vuoto con un direttore d'orchestra solitario, una stazione con dei binari che partono sullo sfondo, tutto diventa pretesto per mostrare. Ma sempre meno, man mano che il film prosegue, per significare, spiegare. Si attacca alle forme, ai colori o alle luci, ma non va mai oltre. Sedotto dalla difficoltà di rappresentare una situazione come di evidenziare la propria maestria tecnica, inizia mille volte un discorso, senza mai saperlo concludere. Ha degli attori bravissimi, impiegati anche intelligentemente a controsenso. Geraldine Chaplin, ad esempio, è una cantante jazz americana credibile. Ma il cinema di Lelouch si blocca quando giunge ai personaggi, quando dovrebbe entrare nelle psicologie. Cosa può fare la povera Nicole Garcia, sbatacchiata dal suo ruolo di violinista alle Folies Bergères alla tragedia totale delle camere a gas per finire coi capelli argentati, gli occhialini che sembra Geppetto, in un manicomio ripreso al tramonto perché fa più bello?

Quando si tratta di andare in barca, il cinema di Lelouch ci va per davvero. Ferma all'illustrazione, impossibilitata a rendere credibile e conciso un personaggio, tutta l'impresa denuncia allora la propria smisurata grandiloquenza. Gli stessi attori, provvisti di baffi o privati, brizzolati o abbronzati, in gonna o pantaloni interpretano padri e figli, ragazzine teen-ager o madri nel fiore della propria bellezza, in un girotondo di generazioni, di conflitti e di rinvii temporali da scompaginare un cervello elettronico.Nella magnificata coreografia di Bejart, Jorn Donn danza sotto la torre Eiffel il celebre bolero con la benedizione della Croce Rossa, le canzoni di Geraldine Chaplin, tutti i personaggi riuniti in un ahimè inconcepibile vogliamoci bene, mentre James Caan (padre, in questa inquadratura, non figlio come in quella di prima) sta guardandosi il tutto alla tv da New York, sul letto dell'Hilton con una coniglietta di Playboy sulle ginocchia. Ma come si fa, con queste zuppe (altro che romanzi) popolari, a non finire per sfottere?


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