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APRI GLI OCCHI
(ABRE LOS OJOS)
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  Stampa questa scheda Data della recensione: 12 gennaio 2002
 
di Alejandro Amenábar, con Eduardo Noriega, Penélope Cruz, Chete Lera, Fele Martinez, Najwa Nimri, Gérard Barray (Spagna, 1997)
 
La realtà, il sogno, la manipolazione della reltà attraverso il sogno. Oppure il contrario?

Grazie all'esercizio ben noto del senno di poi, in questa opera seconda di un regista spagnolo ventiseienne sono ben riconoscibili quelle qualità risultate evidenti alcuni mesi or sono alla Mostra di Venezia nel fulgido THE OTHERS. Certo, non le ragioni, intese come spiegazioni. Che il cinema di Amenabar fa proprio di quelle mancanza uno dei segreti del proprio fascino. APRI GLI OCCHI è infatti difficilmente raccontabile. Il che è già buon segno: poiché significa che riguarda un cinema che si costruisce sulle immagini.

Non che in questa specie di thriller non esista una trama: è quella del racconto - indotto da uno psichiatara - che un giovane sfigurato da un incidente d'auto fa delle proprie esperienze: un itinerario che l'ha condotto ad un (supposto?) doppio omicidio delle sue due giovani amanti. Su quei ricordi, che conferiscono alla sceneggitura la sola sicurezza drammatica sulla quale basarsi, l'autore del precedente TESIS sovrappone progressivamente scene vissute a scene sognate: guidando sempre più l'universo del film ad un intreccio fra realtà ed immaginazione. Fra esigenza di conoscenza, tipica dell'inchiesta poliziesca, e rimessa in questione della verità, caratteristica del mondo del fantastico.

Come il protagonista de IL FANTASMA DELL'OPERA quello del film di Amenabar deve nascondersi allo sguardo altrui portando una maschera. Come nei labirinti mentali di David Lynch, più che negli itinerari limpidi ed implacabili di Hitchcock (tutti nomi che vengono forzatamente alla mente) le vicissitudini di APRI GLI OCCHI si rivolgono sempre più all'interno del portatore di maschera. Come in VERTIGO, le donne amate si sostituiscono agli occhi del protagonista; cosi come allo logica dello spettatore. Ed il malessere, sempre utile quando si tratta di porre degli interrogativi, si sostituisce progressivamente alle regole più banali del thriller.


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