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ARRIVEDERCI AMORE, CIAO Film con lo stesso punteggioFilm con lo stesso punteggioFilm con lo stesso punteggioFilm con lo stesso punteggio
  Stampa questa scheda Data della recensione: 4 aprile 2006
 
di Michele Soavi, con Alessio Boni, Isabella Ferrari, Michele Placido, Carlo Cecchi, Michele Soavi (Italia, 2005)
 
Tratta da un romanzo di Massimo Carlotto, universitario e militante di Lotta Continua, fuoriuscito nel 1976 dopo un'accusa di omicidio, condannato in contumacia all'ergastolo, rifugiato dal 1990 a Parigi dove gli viene concessa la grazia da Scalfaro dopo processi ed appelli vari, l'autobiografia c'entra non poco nella vicenda di ARRIVEDERCI AMORE, CIAO. Con una differenza: che, dopo il ritorno in Italia e la riabilitazione, Carlotto è diventato uno scrittore di fama e un personaggio di riferimento. Mentre la riabilitazione inseguita dall'Alessio Boni sempre più efferato (a diversità da quello umanizzato dalle proprie incertezze di LA MEGLIO GIOVENTU) del film di Michele Soavi passa non soltanto per la delazione ed il crimine; ma affonda nella spirale inarrestabile dei peggiori istinti assassini, in un shakespeariano buco nero da male assoluto. Da extraparlamentare a militante, ad assassino tout court: equazione un po' spiccia per non dire spietata; anche se smussata dal ruolo di un poliziotto corrotto, che un Michele Placido in forma strepitosamente perversa eredita direttamente dal Volontè di INDAGINE SU UN CITTADINO.   

Se negli scritti di Carlotto quella discesa infernale affondava in un'Italia del Nord-Est che alimentava con il proprio cinismo sociale e l'arrivismo più bieco l'humus favorevole al degrado dei valori umani (rendendo cosi la situazione assai meno finta e, al contrario, irrisolta), nel film il processo finisce per banalizzarsi: dalle motivazioni legate all'ambiente della parte iniziale si fa sempre più ligio agli schemi del noir. E, in un finale ancora meno significativo, di quell'horror che Soavi ha ereditato dalla sua stretta filiazione da Dario Argento. Exit, allora, quasi tutto il messaggio politico riassunto da quel “ Ormai ero libero. Una persona onesta, come tutti”. Colpa della sceneggiatura, ma anche dello stile, interessante e sensuale ma deviante del regista. Fatto del continuo indagare della cinepresa fra immagini volutamente sfocate, inquadrature a rischio di compiacimento di personaggi ripresi a metà, sbavature cromatiche, incursioni impressionistiche selvagge quanto talvolta sconclusionate dell'ambiente. Il tutto imbevuto del tema musicale del titolo; che è poi quello di Caterina Caselli che intonava, con altro à propos, la sfortunata famiglia di LA STANZA DEL FIGLIO di Nanni Moretti.


   Il film in Internet (Google)

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