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ANTICHRIST Film con lo stesso punteggioFilm con lo stesso punteggioFilm con lo stesso punteggioFilm con lo stesso punteggio
  Stampa questa scheda Data della recensione: 14 agosto 2009
 
di Lars von Trier, con Charlotte Gainsbourg, Willem Dafoe (Danimarca, 2009)
 
Anime sensibili, astenersi. In effetti, dopo cinque minuti iniziali assolutamente sublimi (anche se a parere delle malelingue fin troppo ispirati ai predecessori dell'autore, dal mitico Dreyer a Ingmar Bergman), seguiti da tutta una prima parte dall'indubbio fascino impegnativo, ecco l'ultimo terzo di ANTICHRIST sfociare nel più clamoroso dei Grand Guignol. Letteralmente sanguinario, probabilmente misogino nella pura tradizione perlomeno complessata del regista di BREAKING THE WAVES e DANCER IN THE DARK: un'evoluzione spiegabile solo nel senso di una (inutile) provocazione. Il tutto da parte di un film che si stava dimostrando come uno dei più sofferti, dei più razionalmente analitici del celebre regista danese.

Una vera e propria spaccatura; che nella sua radicalità nasconde forse il desiderio, più che di innovare, di scandalizzare. Quasi un modo di dire allo spettatore: vedi che genere di film sono stato capace di fare fino a questo punto? Ebbene, a partire da adesso il divertimento è tutto mio. Cosi, appena il tempo di farci entrare in materia grazie ad alcune icone d'epoca su Belzebù e derivati, ecco la svolta. Non più una madre sofferente per la drammatica perdita del figliolo; assistita dal marito terapeuta anche se egualmente afflitto dal medesimo sentimento di colpa. Non più una giovane donna (temeraria e grande Charlotte Gainsbourg che, sovrastando il disastro incombente, si merita appieno il Premio all'Interpretazione di Cannes 2009) che nel più sciagurato dei casi potrebbe impazzire. C'è di peggio (quando da Bergman o Tarkovski si svicola a quel punto sui lidi più sdrucciolevoli dei Polanski e Zulawski) sembra volerci convincere von Trier: e decide di trasformarla in strega.

Inutile, a questo punto, chiedersi il perché e il percome: rimane il fatto di un film che stava vivendo di sofferta contemplazione, di dialoghi intelligenti, di un incontro commovente con l'ordine naturale delle cose e della natura. E che si trasforma in un macello trash più che gore, in una disordinata mattanza dalle più esibite frattaglie. Exit cosi ogni lettura umanistica di un aneddoto fino ad allora accorato e sensibile: per lasciare il posto ai disturbi di un cineasta dal talento troppo spesso sprecato.


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