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LAZZARO FELICE Film con lo stesso punteggioFilm con lo stesso punteggioFilm con lo stesso punteggioFilm con lo stesso punteggio
  Stampa questa scheda Data della recensione: 22 giugno 2018
 
di Alice Rohrwacher, con Adriano Tardiolo, Alba Rohrwacher, Tommaso Ragno, Luca Chikovani, Sergi Lopez (Italia, 2018)
 

Sa un po' del Zavattini di Miracolo a Milano, molto dell'Olmi dell'Albero degli zoccoli, qualcosa del Bertolucci di Novecento l'opera terza di Alice Rohrwacher. Dove non tutti i conti tornano alla perfezione; ma alla quale è impossibile non riconoscere l'intelligenza e l'originalità di una favola al tempo stesso concreta e surrealista; e, in aggiunta, la riflessione anche politica su un'Italia che sta andando come sappiamo.

Nel 2011 di Corpo Celeste, forte della sua precedente esperienza di documentarista, la regista ci raccontava il ritorno dalla Svizzera alla Calabria della tredicenne Marta: ed era già una fiaba iniziatica, un ricorso alla spiritualità per avere ragione del materialismo. Così, in tempo di cresima, la giovane già s'imbatteva in un parroco interessato a raccogliere voti per il politicante locale, speranzoso nel contempo di ottenere dal vescovo senile la promozione in una parrocchia più eccitante.

Ancora una ragazzina era al centro di Le meraviglie (2014). Una cronaca apparentemente realista di un'estate campagnola in compagnia di un padre apicoltore scorbutico; ma che si andava affinando all’improvviso, rifugiandosi in una fantasia già allora a metà tra Olmi e Fellini. Con le api che affioravano dalle labbra delle ragazze, e un cammello apportato in dono.

E' invece un ragazzo al centro di questo Lazzaro felice, premiato di nuovo a Cannes per la sceneggiatura e ancora co-prodotto dalla nostra Amka Film. Un sempliciotto di campagna (Adriano Tardiolo), dalla gentilezza felice che confina con l’assenza; preda ideale, assieme ai miseri paesani che gli stanno attorno, di una marchesa dispotica alla quale riesce di mantenere la sua strana piantagione di tabacco nell’ignoranza generale. Qualcosa di simile accade allora nella mente dello spettatore riguardo la collocazione temporale dei fatti: Lazzaro si chiama, ce lo stavamo dimenticando, l’insolito protagonista. Sarà allora la sua resurrezione a proiettare il film nella seconda parte. Non più sotto i mezzadri di quel mondo di schiavi che ignoravano d’esserlo: ma fra i binari in disuso di una bidonville sempre più straniante. Dove l’esodo questa volta contemporaneo delle campagne verso i centri urbani troverà nuovi sbocchi nell’ispirazione allegorica ma anche ironica dell’autrice.

Ambizioso e insolito, come si sta dimostrando tutto il cinema di Alice Rohrwacher, Lazzaro felice insegue allora un po' ad ogni costo le vie della poesia. Ma senza mai lasciarsi tentare dal moralismo e dalla nostalgia facile. Nel conformismo dilagante dei tremendi blockbuster che stanno invadendo gli schermi anche certe sue forzature risultano non soltanto coraggiose, ma benvenute.


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