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GLI ORSI NON ESISTONO
(NO BEARS - KHERS NIST)
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  Stampa questa scheda Data della recensione: 10 novembre 2022
 
di Jafar Panahi, con Jafar Panahi, Naser Hashemi, Vahid Mobasheri, Bakhtiyar Panjeei, Reza Heydar (Iran, 2022)

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Film piccoli  e immensi , al tempo stesso affreschi sociologici, tranelli psicologici, militanti denunce, riflessioni morali. E, soprattutto, gesti straordinari di libertà, prove lucide e commoventi del potere insopprimibile dell'ispirazione artistica. Lo si diceva a proposito di un  capolavoro del 2014, Taxi Teheran, lo ripetevamo quatto anni dopo per Tre volti. Rieccoci sorpresi, rispettosi ed ammirati nei confronti delle splendide unicità che regolarmente ci propone Jafar Panahi.

Con Gli orsi non esistono (No Bears nella versione internazionale) l'iraniano perseguitato abbandona ogni forma di compiacimento, ammesso che ce ne fosse. Di velata, malcelata  ironia nel trascrivere in cinema quanto gli sta succedendo da tempo. Dirige allora da remoto, da una stanzina in un paesino situato sul confine che gli ha affittato un volonteroso e un po' sempliciotto abitante, una sorta di lungometraggio. Con il solo ausilio di un banale laptop e un cellulare che perde in continuità il segnale, un doppio (ma forse triplo, quadruplo) racconto che una troupe di attori sta provando. Oltre il confine, in Turchia.  

Come dice il titolo, infatti, gli orsi non giungeranno a costringere al silenzio il regista sessantaduenne. Condannato dapprima nel 1970 a sei anni di carcere; tramutati in venti d'interdizione di girare, o sceneggiare un film; oltre che di pensare eventualmente ad espatriare.

Jafar Panahi è stato nuovamente arrestato ed imprigionato l'11 luglio scorso. Mentre No Bears, terminato poche settimane prima dell'arresto del regista, sarà premiato all'ultima Mostra di Venezia. Rappresentando così l'ennesima, commovente dimostrazione di come ad un artista possano riuscire insopprimibili gesti di libertà nei confronti di chi detiene ilpotere.

Forzatamente umile considerata la situazione, dissimulato fra le montagne e circondato inizialmente, prima che dilaghi la paura, dai pochi abitanti, il cineasta indomito inventerà allora  le sue vicende parallele, le costruzioni drammatiche che le intraducibili espressioni francesi definiscono "mises en abyme".  

Sono delle fughe che, confrontandosi, traducendo le preoccupazioni intime dell'autore, gli consentiranno tutta una serie di itinerari espressivi inediti e creativi. Dalle primissime immagini, nel traffico cittadino della Turchia una donna incontra qualcuno che le consegna un passaporto; ma la coppia si separa, quando lei scopre che il passaporto è falso. Alla fuga da un'esistenza rassegnata preferirà l'attesa prolungata?. Ma già  la cinepresa arretra, svelando cosi allo spettatore come tutto si stia svolgendo sotto l'occhio manipolabile di una cinepresa.

Solo più tardi, in una sequenza indimenticabile sul sentiero montano tracciato dai contrabbandieri, la stessa cinepresa finirà per scavare a lungo nell'oscurità totale, apparentemente impossibile, di quella notte privata del chiarore di luna e di stelle. Panahi preferisce ritornare e lottare, fosse pure nel buio.

* Vogliate p.f. cliccare su www.filmselezione.ch per la lettura completa della raccolta di critiche cinematografiche FILMSELEZIONE di Fabio Fumagalli

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Small and immense films, at once sociological frescoes, psychological pitfalls, militant denunciations, moral reflections. And, above all, extraordinary gestures of freedom, lucid and moving evidence of the irrepressible power of artistic inspiration. We said it about a 2014 masterpiece, Taxi Teheran, we repeated it four years later for Three Faces. Here we are again surprised, respectful and admiring of the splendid uniqueness that Jafar Panahi regularly offers us.

With No Bears, the persecuted Iranian abandons all complacency, if there was any. Of veiled, ill-concealed irony in transcribing into cinema what has been happening to him for some time. He then directs remotely, from a small room in a small village on the border that a willing and somewhat simple-minded inhabitant has rented him, a kind of feature film. With only the aid of a banal laptop and a mobile phone that continuously loses its signal, a double (but perhaps triple, quadruple) story is being rehearsed by a troupe of actors. Across the border, in Turkey.  

As the title says, the bears will not come to force the 62-year-old director into silence. First sentenced in 1970 to six years in prison; turned into twenty years of a ban on making, or writing a film; as well as possibly thinking of expatriating.

Jafar Panahi was arrested and imprisoned again on 11 July. While No Bears, finished a few weeks before the director's arrest, will be awarded at the last Venice Film Festival. Thus representing yet another moving demonstration of how an artist can succeed in making irrepressible gestures of freedom against those in power.

Forcibly humble given the situation, concealed in the mountains and initially surrounded, before fear spreads, by the few inhabitants, the indomitable filmmaker will then invent his own parallel stories, the dramatic constructions that the untranslatable French expressions define as "mises en abyme".  

These are escapes that, by confronting, translating the author's intimate preoccupations, will allow him a whole series of unprecedented and creative expressive itineraries. From the very first images, in the city traffic of Turkey, a woman meets someone who hands her a passport; but the couple part when she discovers that the passport is fake. To escape from a resigned existence will she prefer to wait for a long time? But already the camera pulls back, revealing to the viewer how everything is unfolding under the manipulative eye of a camera.

It is only later, in an unforgettable sequence on the mountain path traced by smugglers, that the same camera ends up delving at length into the total, seemingly impossible darkness of that night deprived of moonlight and stars. Panahi prefers to return and fight, even in the dark.

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