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LA POLVERIERA
(BURE BARUTA)
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  Stampa questa scheda Data della recensione: 1 luglio 1999
 
di Goran Paskaljevic, con Nikola e Lazar Ristanovski, Miki Manojlovic (Jugoslavia, 1998)
 
"Tutto è stato girato a Belgrado (un anno fa... NdR.). I permessi per le riprese non esistono. È un paese che vive nel caos. Nulla a che fare con i regimi dei paesi dell'Est a suo tempo. D'altronde non condanno soltanto chi sta al potere, ma tutta la classe politica, compresa la cosiddetta opposizione, che approfitta di quel caos e non cerca che a riempirsi le tasche. Se ne fregano. Ciò che può rovesciare il regime non è di certo un film, è soltanto la gente invadendo le strade, cosa che abbiamo fatto per tre mesi l'anno scorso; la speranza è ritornata, era straordinario. Poi, tutto è stato spazzato via, oppure strumentalizzato. Dopo l'uscita del film, quando hanno letto le mie interviste, mi hanno trattato brutalmente da traditore del popolo serbo. Mi avevano lasciato girare tranquillamente, per puro lassismo; e le reazioni sono giunte soltanto quando hanno visto il risultato..."

Malgrado sia impregnato fino all'ultimo fotogramma di quell'energia, quella follia, quell'umorismo tragico e disperato che caratterizzano la cultura slava, malgrado sia girato (da un serbo che vive a Parigi) con molti attori che vi ricorderanno i film del grande Kusturica, LA POLVERIERA non è un capolavoro. Ma è un'opera impressionante: per i suoi aspetti profetici, per il fatto che, nel frattempo la polveriera è effettivamente esplosa. Tragico ed impressionante il film è allora diventato aldilà della già furibonda determinazione che anima il suo autore. O le sue storie: che si svolgono in una notte di Belgrado sotto gli occhi esterrefatti di un tassista, un giovane privo di patente che viene quasi linciato per aver ammaccato un parafango, due vecchi amici pugili che si confessano allegramente reciproci tradimenti prima di sgozzarsi sotto la doccia, i passeggeri di un autobus terrorizzati da un giovanotto che s'impadronisce della guida, lo stupro ormai solito con il fidanzato costretto ad intonare un canzone patriottica. Impressionante, al di là delle dichiarazioni esplicite che Paskaljevic ha messo nella bocca stessa dei suoi personaggi: "Chi ha cervello se ne è andato da un pezzo "; "Siete qui per il censimento dei profughi?"; "Ci sono sessantamila poliziotti per un milioni di abitanti "; "Siamo il buco del c... dell'Europa". Impressionante, infine e soprattutto, più della visione infernale, animata da un totale pessimismo che segna costantemente lo sguardo registico. Per Paskaljevic, i suoi compatrioti sembrano essere tutti ed inevitabilmente guidati da un irrefrenabile sadismo, da una frustrazione ed una rabbia che sfocia in una aggressività idiota, alimentata dall'alcool e dalle droghe, in una condotta che esclude la ragione, la dignità, i valori civili.

Una visione condotta con rigore e coerenza ma che, escludendo i diritti alla riflessione, alla commozione per non dire alla poesia arrischia ad ogni istante di annullarsi in un nichilismo sterile.


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