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VI PRESENTO TONI ERDMANN
(TONI ERDMANN)
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  Stampa questa scheda Data della recensione: 6 marzo 2017
 
di Maren Ade, con Peter Simonischek, Sandra Hüller, Michael Wittenborn (Germania, 2016)
 

Toni Erdmann è una mosca bianca clamorosa. Il film più singolare, per non dire sconcertante dell’anno: terzo lungometraggio girato da una 39enne cineasta tedesca pressoché sconosciuta. Originale, interessante, divertente e troppo lungo; crudelmente realista, spesso lucido ed estremamente rivelatore. Poi, quasi per uno sberleffo nei confronti della logica di una sceneggiatura dall’impeccabile procedimento paradossale, improvvisamente surreale, esilarante. Per farsi in definitiva melanconica; e magari esasperante.

Ma le singolarità si accumulano: come il fatto che un film cosi particolare, divertente ma per tanti aspetti radicale e scostante, stia godendo di un’insolita, spettacolare adesione unanime presso la comunità notoriamente capricciosa dei critici festivalieri. E ancora, di una clamorosa accoglienza da parte del grande pubblico delle platee internazionali.

Tutto è probabilmente spiegabile nella formidabile identità fra il film e i suoi (formidabili) interpreti. A perfetta immagine dei suoi protagonisti, Toni Erdmann è al tempo stesso commovente e crudele; determinato pur nei suoi momenti più sconsiderati e deliranti. Un film semplice e chiaro come la sua fotografia dalla luminosità piatta ma eloquente; soprattutto un film di una libertà cosi rara da apparire eccentrica. Al tempo stesso un film dal tema prezioso, ancorato nel tempo e nelle psicologie come quello dei rapporti fra un padre e una figlia.

Filmata nell’apparente banalità di un falso realismo documentaristico, sullo sfondo al contrario finemente introspettivo di una Romania dalla globalizzazione degenerata, ecco allora costruirsi una vicenda condivisibile. In apparenza: poiché subito contraddetta, più o meno allegramente, da una filosofia dagli umanissimi quanto paradossali capovolgimenti. Un’esasperante serie di vicissitudini inventate dal pensionato ma da tempo dimissionario genitore Winfried, autodefinitosi Toni (uno sconosciuto, per noi, Peter Simonischek): dai lazzi smodatamente goliardici, i travestimenti sgangherati da petroliere, ambasciatore, dentista o amicone della star locale del tennis Ion Tiriac. Espedienti allegramente disperati: tentativi, commoventi ma il più delle volte indisponenti, di un goffo riavvicinamento edipico all’universo dal prestigio luccicante inseguito dalla figlia 37enne espatriata a Bucarest. E’ infatti lei (sensibilissima e pure lei poco nota Sandra Hüller) la distante, rampante ma sotto sotto esausta Inès: business woman implacabile, ai vertici della potente multinazionale, ossessionata nella propria asettica privacy da quelle intrusioni imbarazzanti.

Due personaggi grotteschi, perfettamente antitetici: sui quali Maren Ade costruisce i suoi centossessanta minuti, in miracoloso equilibrio instabile fra spasso, inverosimiglianza e angoscia. Fra le ragioni dell’intuito che talvolta conducono al piacere del vivere la fantasia dell’istante presente; e quelle di una meccanica inesorabile di un quotidiano dall’esausta, sfuggente rincorsa. Il film se le gioca ambedue: ad esempio con uno striptease integrale a dir poco inatteso, come non avrete forse mai l’occasione di rivedere. Succede, quando l’assurdo riesce a mettersi al servizio della commedia umana.


   Il film in Internet (Google)

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