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FESTIVAL DEL FILM DI LOCARNO 2016:: PER UN FESTIVAL ANCORA MIGLIORE (4)
  Stampa questa scheda Data della recensione: 18 agosto 2016
 
(2016)
 

PER UN FESTIVAL ANCORA MIGLIORE Una Piazza altrettanto piena ma meno distratta farebbe progredire il tutto. Prima dei contenuti del Festival 2016 (a cominciare dalle scelte della Giuria, sempre significative, nel bene come nel male) sarebbe finalmente il caso di riflettere sul contenitore. Sulla sua espansione fulminea e così radicale da apparire probabilmente irreversibile. Quasi ad immagine, certo infinitamente più futile, di quella dettata dei tempi che viviamo. Egualmente sorprendente; e dalle conseguenze, al solito impreviste, che potrebbero mutare i contorni della manifestazione. La constatazione più utile da trarre dall'edizione di quest'anno non nasce allora dalle qualità o da certi limiti del programma. Che non differiscono in maniera sostanziale da quella degli ultimi anni; ad eccezione forse dell'edizione del 2015, nata sotto una stella particolarmente felice. Bisogna però rendersi conto che si tratta di situazioni dipendenti da eventi anche casuali, quali la fortuna di ritrovarti fra le mani la pellicola giusta al momento giusto. E, preferibilmente, in modo tale che i pescecani di stazza maggiore della tua non ne facciano caso. Il punto è un altro. Locarno, lo si vede senza ricorrere alle statistiche che sottolineano una leggera stasi della Piazza, sta trasformandosi e consolidandosi di anno in anno. Si tratta di una continuità, una stabilità invidiata anche dalle concorrenti più agguerrite; una progressione strutturale, accompagnata da affinamento professionale che giustamente viene a premiare gli sforzi dei responsabili. Si tratta di una espansione probabilmente imprescindibile; ammirevole, specie in considerazione dei limiti umani, geografici e strategici del territorio locale. Ma di una espansione che non deve avvenire solo orizzontalmente. Ma in profondità. Moltiplicare le sezioni, diversificare gli ambienti, rinnovare età, provenienza o condizione culturale dei frequentatori è decisione condivisibile. Anche in considerazione dell'estrema volatilità nell'invenzione in un campo inflazionato com'è quello dell'immagine. Della rimessa in questione degli spazi e delle situazioni dedicate al suo consumo; dei sovvertimenti in atto che non hanno certo risparmiato l'oasi ritenuta dorata del cinema. E dei festival stessi. Per le stesse ragioni occorre però dimostrare un'intraprendenza equivalente: quella che consiste nel rompere altri schemi, forse più intimi e meno tecnici, forse meno evidenti. Cento settantamila spettatori sparsi qui e là, più le decine di migliaia di una Rotonda che saggiamente è stato utile integrare nell'assieme rappresentano una bella cifra. Ma non per questo occorre dannarsi l'anima alla ricerca di soluzioni cosiddette popolari. Dato che pure quel concetto sta vivendo una sua evoluzione. E di immagini popolari (e di musiche, meglio, di rumori che hanno invaso ogni diritto e piacere al silenzio) è ormai saturo un nostro quotidiano costruito sul (termine aborrito) di evento. Sulla Piazza occorre ancora chinarsi. Nessuno ha deciso una volta per tutte che la folla immensa che la invade debba essere cieca e sorda a qualcosa di diverso e evolutivo. Anche se è vero che degli sforzi sono stati fatti quest'anno per risollevarne in parte una qualità sfociata nel grigiore. Senza parlare dei capolavori prelevati da Cannes come I, DANIEL BLACK di Ken Loach o POESIA SIN FIN di Jodorowsky (che forse bisognava avere il coraggio di passare in prima serata), opere dal raffinato intimismo come STEFAN ZWEIG  FOR DER MORGENROETE di Maria Schrader, o il francese LE CIEL ATTENDRA, per le sue riflessioni sul richiamo dell'Isis se non proprio per lo stile, erano di sicuro approfondimento. JASON BOURNE,, di un Greengrass relativamente in forma e il bollywoodiano MOHENJIO DARO del Gowariker di LAGOON illustravano giustamente due aspetti importanti della produzione e dei gusti attuali. Mentre il curioso thriller sulla guerra civile in Monzambico COMBOIO DE SAL E ACUCAR girato dal brasiliano Licinio Azevedo può giustamente ambire, nella sua efficacia drammatica, al titolo di rivelazione. In quanto al tanto biasimato film sugli zombie THE GIRL WITH ALL THE GIFTS di Colm McCarthy, non era forse conforme a quanto ci si aspetta in generale da una festa d'apertura; ma nemmeno era privo di motivi d'interesse. Non è soltanto una questione di scelte. Poiché siamo ancora nell'ambito di una rassegna di Cinema che ambisce storicamente al riconoscimento internazionale è in un certo schematismo, in una sua accettazione assopita (certo, capitano anche le ovazioni a Ken Loach) che la Piazza appare sempre un'immensa, spettacolare, giustamente festosa assemblea digestiva. Forse proprio a causa del suo progressivo conformarsi durante gli anni a quell'attributo popolare, o nel timore di guastare quel clima consensuale che fa parte della nostra tradizione, la platea sotto le stelle ha perso quegli attributi dialettici e di confronto che sono proprie dell'agora. Una piazza è fatta anche per reagire, godere o dissentire, come accadeva ai tempi fra acclamazioni e fischi. Certo, anche a Cannes e Venezia è in atto una sorta di tacita rassegnazione. Ma questo non dovrebbe indurre anche l'ultimo pubblico dello spettacolo-cinema a cedere quel briciolo di foga a favore dei conduttori di talk show televisivi. Non si tratta, per carità, di sostituire al piacere l'elitismo e l'intellettualismo; una panzana, che chiunque frequenti gli appassionati della settima arte è capace di relativizzare. Ma perché non tentare, per dirne una, di rompere qualche schema, l'inamovibile successione di presentazioni e proiezioni? Di una formattazione - quei 115 minuti canonici  che sta massacrando le sale. Perché non fondere maggiormente la presentazione degli ospiti (certo, se inseriti nel contesto logico del festival) con una illustrazione più esauriente della loro opera? Una delle dieci più grandi attrici al mondo, Isabelle Huppert, è apparsa sul palco accolta dall'apprezzamento garantitole da una lunga notorietà. Il suo omaggio a Michael Cimino, intelligente e sensibile, è stato magnifico; altrettanto emozionante dell'ormai celebre incontro avuto un anno fa con il pubblico di Locarno dall'immenso cineasta recentemente scomparso. Ma ecco altri applausi: questa volta per farla smettere di parlare. Sono gli incerti di una platea sconfinata? Direi piuttosto di quel popolare di cui sopra. Sarebbe bastato il coraggio di mutare gli schemi inamovibili della serata, presentando mezz'ora delle immagini sublimi e così evidenti di IL CACCIATORE e di I CANCELLI DEL CIELO. Questo per spiegare alla maggioranza silenziosa, e in buona parte ignara, di chi e cosa si stesse parlando. E' solo un episodio: ma perché tutto un rito a volte inamidato non potrebbe avvicinarsi maggiormente a una folla così distante? Stabilizzata la Piazza, crescerebbe ulteriormente il Concorso, già su livelli più che dignitosi. Si affinerebbe il potere di contrattazione dei programmatori; crescerebbe, ma questa volta in qualità, la manifestazione tutta. Del palmarès si è già detto. La Giuria ha scelto bene, sottolineando con l'oro l'austero ma magnificamente incondizionato GODLESS della bulgura Ralitza Petrova. Che sottolinea non solo la dilagante corruzione del proprio paese. Ma lo straordinario stato di grazia attuale del cinema dell'Est Europeo; nel solco rumeno avviato dai Mungiu e Puiu e proseguito qui dal CUORI CICATRIZZATI di Rado Jude, probabilmente il più forte ma equilibrato fra tutti i premiati. Si poteva evitare di premiare due volte GODLESS: e permettere di segnalare cosi anche SLAVA, l'altro film bulgaro. Si doveva sottolineare maggiormente l'istintiva leggerezza poetica di MISTER UNIVERSO, dell'italiano Tizza Cova. e l'austraico Rainer Frimmel. E non dimenticare del tutto una delle rivelazioni maggiori, MARIJA girato a Dortmund dallo svizzero Michael Koch: una magnifica protagonista, Margarita Breitkreiz, in un film giusto e forte come raramente nascono da noi, una scrittura cinematografica essenziale su un tema attuale come quello dell'immigrazione. E' stato un verdetto dedicato a dei film piuttosto cupi; ma non è colpa dei giurati se i tempi sono questi; e la selezione andava in quel senso. Si poteva alleggerirlo, premiando la commedia dai toni e colori falsamente festosi dell'egiziano Yousry Nasrallah. O il dilatato panorama asiatico proposto dal giapponese Tomita di BANGKOK NITES,, una delle rare e preziose escursioni extra europee.

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