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LA LA LAND Film con lo stesso punteggioFilm con lo stesso punteggioFilm con lo stesso punteggioFilm con lo stesso punteggio
  Stampa questa scheda Data della recensione: 6 febbraio 2017
 
di Damien Chazelle, con Ryan Gosling, Emma Stone, J.K Simmons (Stati Uniti, 2016)
 

Oscar 2017 annunciato grazie alla bellezza di quattordici nomination, premio per la Migliore Attrice all’ultima Mostra di Venezia a Emma Stone, il successo di pubblico come di critica di La La Land non sorprende più di tanto. Poiché il secondo film (dopo il già interessante Whiplash del 2015) del regista appena trentenne Damien Chazelle sembra nato apposta per sedurre,un arco vastissimo di spettatori.

Il fascino del film non deriva tanto, infatti, da una storia che la commedia cinematografica a sfruttato fino dalla sua nascita: un’antipatia a prima vista, che progressivamente si muta in legame amoroso. E’ quella tra Mia (Emma Stone) che fa la cameriera nei pressi della Warner, frequentando però tutte le audizioni nella speranza di avviare la carriera di attrice. E Sebastian (Ryan Gosling), dal tragitto quasi parallelo, visto che tira a campare nell’ingrata professione del pianista da bar, ma nella speranza di aprire in futuro un club di jazz tutto suo.

Il cuore che pulsa, e probabilmente spiega le ragioni del grande successo del film, sta però in una sua sorta più preziosa di stato di grazia. Che gli permette di proiettarsi, con felicità, una bella dose di talento e anche di spregiudicatezza (magari a rischio di sfociare nel nulla) in tutta una serie di direzioni. In parte tradizionali: come in quel suo modo, pieno di grazia e di qualità, di resuscitare un genere che si credeva morto (oltre che non sempre amato da tutti) come la grande commedia musicale. Altre volte, nel rifiuto del semplice omaggio condito di nostalgia: per deviare in una specie di sorprendente modernismo, uno stile spettacolare ma volentieri tentato dall’esprimere dei temi e delle preoccupazioni attuali e tutt’altro che scontate. La La Land è un film che poteva limitarsi ad essere una favola; è invece capace di rivitalizzasi nella riflessione sociale come nell’indagine psicologica.

Cosi, la passione di Chazelle per una musica autentica, per un’epoca basata su altri valori, un’estetica meno sbrigativamente tradotta con degli effetti digitali, e non da ultimo dei personaggi veri, la si recepisce dalla minuzia, priva di ogni sottolineatura didattica, di ogni sua immagine. Tutta impregnata da quel senso di libertà che alimentava (come forse mai dopo di allora) i capolavori dei musical di Busby Berkeley, Vincente Minnelli, Stanley Donen, Jacques Demy. Mentre nel contempo, altri risvolti del suo film rimandano a universi espressivi quasi in antitesi: il cinema di Max Ophuls o di un Woody Allen senza le sue battute, le tinte del Francis Coppola di Un sogno lungo un giorno, il David Lynch, forse per l’ambiente cosi simile, del magnifico Mullholland Drive.


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