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THE TREE OF LIFE Film con lo stesso punteggioFilm con lo stesso punteggioFilm con lo stesso punteggioFilm con lo stesso punteggio
  Stampa questa scheda Data della recensione: 22 luglio 2011
 
di Terrence Malick, con Brad Pitt, Jessica Chastain, Sean Penn, Fiona Shaw (Stat Uniti, 2011)
 

THE TREE OF LIFE è un film diverso, di una bellezza rara, di una unicità indubbia: di un'imperfezione sublime dovuta, certo, ai limiti (ma che importa?) imposti da un'ambizione smisurata. Eccolo infine a Cannes, dopo anni di attesa, accolto con incanto e devozione, una certa dose di smarrimento, e anche di dissenso E' buon segno: poiché si tratta delle medesime reazioni riservate a suo tempo ad avvenimenti destinati a sorprendere e restare, a L'AVVENTURA, a LA DOLCE VITA, a Godard e a APOCALYPSE NOW, quando la Croisette reagiva, non ancora rimbambita da tappeti rossi.


E' una buona notizia: la conferma che Terrence Malick, dopo la scomparsa di Stanley Kubrick, è rimasto l'ultimo di quella specie reclusa nel proprio genio che ha segnato la storia del cinema. Ovviamente irreperibile nella fiera delle vanità festivaliere, immerso nel proprio singolare tragitto, inaccessibile da sempre ai media, misterioso e ormai leggendario, il laureato di Harward ed ex insegnante di filosofia si conferma autore incomparabile di sempre più radicali riflessioni visionarie. A THE TREE OF LIFE , prima ancora di addentrarci nella sua ipnotica energia poetica, dobbiamo un immenso rispetto: per un rapporto con il cinema cosi lontano dalla volgarità delle leggi imperanti. Per avere tentato, e in gran parte riuscito, quella sintesi miracolosa fra l'infrinitamente piccolo che ci governa e l'infinitamente grande che ci condiziona che solo era riuscita finora a delle arti meno condizionate dall'evidenza dell'immagine del cinema, la letteratura, la musica.


Certo, la dimensione mitica del personaggio permette a Malick ciò che altri è precluso da tempo: anni di lavorazione, uno intero dedicato agli effetti speciali, addirittura due per il montaggio; oppure diecimila audizioni, per scegliere i tre ragazzini che occupano la parte centrale del film dedicata alla Famiglia… Non che il regista speculi su quel genere di privilegio: al contrario, affina il proprio discorso, forse a dismisura, ai confini di tutti i rischi espressivi. Viepiù dedicati alla straordinaria trascendenza delle immagini, a quel suo modo unico di captare le risonanze più misteriose e vere dell'istante presente, di evolvere da una fisicità infinitamente sensuale ad una spiritualità mistica e laica che gli nasce da quella sua sbalorditiva capacità di captare i fremiti più segreti della natura, dei corpi che ci contengono. A imprigionare le impalpabili evasioni della mente nella coercizione poetica e prativa di un linguaggio, E risolvere cosi, in equilibrio sui tre elementi naturali (ritornano anche qui incessantemente il fuoco, l'acqua e la terra) l'ipotesi fantastica che unisce la nostra condizione umana a quella cosmica: ricercare un Eden, prima che questi si trasformi nel Paradiso delle illusioni perdute.


Fino a LA SOTTILE LINEA ROSSA (1998) e a IL NUOVO MONDO (2005) questo contrappunto dall'inebriante fascino poetico tra Uomo e Natura era solo suggerito (a tutto vantaggio dell'esploratore che si nasconde in ogni spettatore), come in filigrana; cosi succedeva a monte della battaglia di Guadalcanal del primo, o della scoperta dell'America di Pocahontas del secondo. Ora è diventato, in un azzardo sempre più clamoroso, l'elemento portante e (qualcuno trova, fin troppo) dichiarato di THE TREE OF LIFE. Ed è di certo una delle ragioni delle riserve sollevate da una parte degli spettatori.


L'esposizione dei due universi si è fatta ora tanto esplicita da spaccare letteralmente il film in due parti. Quella iniziale, e quella dell'epilogo (dalla rimembranza po' tanto New Age): tutta dedicata a risalire alle più misteriose vibrazioni provocate dal racconto che seguirà, alle loro motivazioni. Fino all'alba del pianeta, in un arco di miliardi di anni, dal Big Bang ai dinosauri, dagli anfibi ai rettili, all'infinitamente piccolo, portato ormai a conoscenza di un mondo che arrischia però ormai di perdersi. Malick, che inizia citando il Libro di Giobbe, traduce allora queste sue riflessioni scientifiche, filosofiche e (dove fatichiamo più a seguirlo) mistiche o religiose con immagini fantastiche e corali allusive. Nate in parte, e non a caso, dalla mano di un sommo veterano come il designer Douglas Trumbull di 2001 ODISSEA DELLO SPAZIO e di BLADE RUNNER; in altre, da egualmente spettacolari ma da chi non apprezza più prosaicamente definite alla National Geographic.


E' solo dopo 55 minuti di questo magma incandescente che entriamo nel nucleo della narrazione. Per modo di dire, poiche' narrare, per Malick, significa assemblare una somma d'intuizioni espessive. Ma eccoci infine nell'intimo della piccola famiglia del Midwest che costituisce l'altro polo del film: nei rapporti fra un padre autoritario, anche perché frustrato (un Brad Pitt sovrano, altro che solo bello)), una madre dolce, anche perché tradizionalmente sottomessa (la rivelazione, Jessica Chastain) e tre indimenticabili figlioli. Sono due parti della narrazione totalmente diverse, ma che si vogliono complementari; forse discusse, ma dotate di quella interdipendenza che già il titolo del film sottintende. E questa centrale, nella sua incredibile energia impressionistica, nella sua vibrazione emotiva è di una bellezza indicibile. Poche volte al cinema è riuscito di introdursi con tanta verità e poesia all'interno delle gioie e dei dolori di un nucleo famigliare, della felicità e della difficoltà di educare, del divenire adulti. Con la sola forza dell'immagine, della luce naturale, di un montaggio che rinuncia alla linearita' per introdurre di continuo degli stacchi impressionistici, praticamene senza dialoghi (o, meglio, come sempre nel cinema di Malick, con la voce off che si diffonde dall'interno dei personaggi per raggiungere quella della natura); in un'osmosi ininterrotta con l'ordine naturale delle cose come con il vento incessante fra le fronde, nascono i legami eterni e misteriosi che ci legano uno all'altro, nei rapporti con i genitori, fra fratelli. E le conseguenze che ne derivano.


Tanta meraviglia espressiva non è fatta per indurci alla commozione, piuttosto per obbligare ogni spettatore a riconoscersi: dalle carezze al neonato, alle grida e ai sussulti attorno al tavolo, ai giochi fra ragazzi, alle punizioni, le esaltazioni, le consolazioni; i sassi buttati nello stagno, e quelli per infrangere le vetrate. La repressione e l'amore, la gelosia e l'emulazione, la rivolta, la trasgressione; la fatica e la gioia di ciò che definiamo vivere. Affresco esistenziale immenso, nel volere tutto dire, dall'infinitamente grande dell'accadimento cosmico all'infinitamente piccolo dell'io. Un arco forse troppo ambizioso anche per Terrence Malick; ma perché dolerci, di questi tempi, per tanta voglia di assoluto?


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