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FESTIVAL DI LOCARNO 1999:DA RAIMONDO REZZONICO A GIUSEPPE BUFFI, ATTRAVERSO MARCO MULLER
  Stampa questa scheda Data della recensione: 30 settembre 1999
 
Zonca, Oz, Angel, Lvovsky e Bouhnik (1999)
 

Della riconoscenza all'inimitabile personaggio RR,  Raimondo Rezzonico, primo "locarnese" ad aver compreso che il festival non era soltanto una perdita fastidiosa di posteggi in piazza Grande scarsamente compensata dallo sbarco di quattro giornalisti squattrinati,  è stato detto tutto. A partire dalla presidente della Confederazione, all'ultima delle mascherine. Sulla fiducia al nuovo presidente, Giuseppe Buffi, c'è ancora tutto da dire; e, ovviamente, da verificare. La scelta era non solo logica, ma ragionevolmente obbligata; e per un motivo più semplice di quello solito, politico, sul quale alcuni colleghi di oltre Gottardo si sono frettolosamente precipitati a lamentare. Ma perchè da diversi anni, è stato proprio il Cantone a mettere finalmente a fuoco la fortuna incredibile di ritrovarsi, in questi anni di vacche dalla pinguedine più che incerta a seconda dei punti di vista dai quali la si osservi, una occasione di tale potenzialità fra le mani. Ed a muoversi di conseguenza. Da Giuseppe Buffi e da Marco Müller sono giunte le sole voci che poggiano su progetti, aperture, speranze per profittare, che dico, consolidare la straordinaria, irripetibile opportunità rappresentata dal Festival di Locarno. Da Berna, no di certo. A dispetto della doverosa (ci mancherebbe) volontà ticinese di farne una manifestazione prioritariamente nazionale - il festival svizzero di cinema a vocazione internazionale come fanno tutti gli altri - la Patria cinematografica non si è mai scostata di un centimetro dall'altra Svizzera, quella solita. Quella della politica, del sociale e del tirare a campare; dell'evitare di mettere fuori il naso, cimentarsi con il vicino, rimettersi in questione. Accontentarsi di quanto fatto, visto che comunque siamo sempre stati i più bravi. Un passo indietro, di preferenza; piuttosto che due in avanti, con il rischio eventuale di doverne fare uno all'indietro. Che tanto basta, ed avanza: è il famoso meno film, meno gente, meno spese, meno pretese, meno sforzi, che le strutture scoppiano e tanto cosa volete di più? Ed allora, diminuiamo le sovvenzioni, perché lo facciamo persino con la ricerca, evitiamo di concentrarci su una manifestazione finalmente forte internazionalmente perché così non irritiamo le altre regioni. E poi fate troppo nella marginalità dei film cinesi o iraniani (tre anni fa) o state svendendo un festival terzomondista agli americani (tre anni dopo), rimettete il trenino sui binari che l'hanno condotto cosi per bene che, se non ci riuscite nel vostro simpatico disordine meridionalista un funzionario a vocazione balivo possiamo sempre procurarvelo... La Svizzera, a torto o ragione (non ingigantiamo il dibattito) così bisognosa di rifare il trucco alla propria immagine non ci è ancora arrivata: quanto di meglio di uno spettacolo artistico-economico, lontano da ogni elitismo ed al contrario fin troppo popolare come il cinema per illustrarsi internazionalmente ? Quale immagine migliore di una immensa riunione fatta di giovani, di una platea multilingue straordinariamente ricettiva? Intanto, a dispetto dalle chiacchiere spesso interessate, il giocattolo che Rezzonico consegna a Buffi è di quelli con cui tanti meno distratti vorrebbero trastullarsi. Marco Müller parla qualche volta a sproposito, e gestisce la propria immagine con la stessa dismisura che contraddistingue la propria passionalità; e la mole di un lavoro imponente quanto intelligente. Diciamo che, in certi casi, è il peggiore nemico di sé stesso: ma vorrei vederne un altro tentare di giocare alla pari di Venezia, Montreal o San Sebastian poggiando sull'incertezza di strutture che reclamano da anni di essere consolidate e professionalizzate. Dopo aver raggiunto i suoi più grandi risultati due anni fa, dopo essere stato costretto ad accelerare e tirare allo stesso tempo sui freni non tanto per ragioni finanziarie, quanto per una certa mancanza di sostegno psicologico, l'esuberante direttore ha confermato ciò che qualcuno si ostina a fraintendere per ambiguità: la sua impareggiabile capacità ad ottenere il meglio dal non molto a disposizione. In breve: ovviare alla carenza di capolavori in circolazione (basta dare un'occhiata al programma imminente di Venezia) per muoversi nell'innovazione rispettando la continuità. Giornali come Le Temps ("Une des plus belles editions: un coup de force qui aura fait grincer les indivisibles tiers-mondistes, antiaméricains primaires et monomaniaques du réalisme à tout prix, le festival a atteint une perfection inédite") o Le Monde ( "Une incoherence qui traduit les traditionnels atout du festival, pluralité des formes, prises de risque, volonté de découverte") non hanno tardato ad accorgessene. Piuttosto che adagiarsi su formule da vecchie illusioni (i "grandi film" sulla Piazza, che seguono una distribuzione ormai inesorabilmente mirata; gli emergenti - sui quali si sono buttati tutti, a cominciare da Cannes - nelle sale&) Locarno ha saputo adattarsi con la straordinaria duttilità permessa da un personaggio come Müller. Cosi, da un festival dei capolavori che non esistono Locarno è diventato un festival di eventi. La straordinaria retrospettiva di quest'anno (la rivelazione di tutta l'ironia, l'inventiva e l'energia che la serie B di Joe Dante e Roger Corman ha portato al cinema) è un evento. Poiché ha raggiunto due obiettivi impensabili: far parlare di Locarno all'estero per mesi, ed assicurarsi la simpatia e la presenza di quel cinema americano che ci concerne per 365 giorni all'anno: ma che non sapeva nemmeno in quale emisfero Locarno si trovasse. GLI UCCELLI con Tippi Hedren è stato un evento; e così la serata con Daniel Schmid, quella con Tornatore. Ma ciò che rivela il lavoro che è stato fatto a Locarno è la presenza di un filo rosso, di un collante che fonde e giustifica l'intero programma: che fa in modo che il video di pochi minuti come la serie dei giovani Pardi di domani, lo straordinario spezzone di sessanta minuti di Eric Zonca sulla piccola delinquenza marsigliese come l'esilarante commedia americana di Oz, BOWFINGER non siano proposti a caso: ma facciano parte di un disegno, un'indagine e un desiderio che svelano il segreto del fascino crescente di Locarno. Rimane il Concorso. Quest'anno ha presentato la più bella selezione francese che un festival possa sognare (a Cannes non ne ricordo una che abbia presentato tre film della forza di quelli di Angel, Lvovsky e Bouhnik); e, per la prima volta, quattro grossi (non dico grandi) film italiani, il cui impatto spettacolare è stato guastato in parte dalla pioggia. E' un risultato notevole: ma è chiaro che la medaglia degli sforzi che Müller dedica a quanto sopra svela ancora il suo rovescio negli sbalzi qualitativi di quella sezione. Ovviare a questo aspetto, confermare quella che è stata definita l'eccellente schizofrenia di Locarno (e consolidare gli aspetti logistici ed amministrativi, ma è un altro discorso) è la vera sfida che attende Locarno 2000.

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