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GHOST DOG- IL CODICE DEL SAMURAI
(GHOST DOG: THE WAY OF THE SAMURAI)
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  Stampa questa scheda Data della recensione: 18 marzo 2000
 
di Jim Jarmusch, con Forest Whitaker, Isaach de Bankolé, Henry Silva (Stati Uniti, 1999)
 

Esistono ormai due Jim Jarmusch, quello di prima DEAD MAN, e quello dopo.

Sul primo ci interrogavamo, ammirati e perplessi. Un cinema che si alimentava all'interno di una precisa cultura (sempre un po' quella, la migrazione, il viaggio, la marginalità...), al servizio, anche sapiente, di tutta un'estetica e una mitologia. Ma l'uomo, in tutto ciò, fosse soltanto l'uomo-rifiuto, dov'era finito in tutto quel bel teatrino? Poi, improvvisamente, in un territorio che Clint Eastwood ci aveva insegnato da poco a rivisitare, irrompeva DEAD MAN: con quella specie di zombie strampalato che rimarrà nella memoria come una delle creature più originali di Johnny Depp. Con spregiudicatezza, humour e poesia, immerso nella musica ipnotica di Neil Young. In un western atipico e mistico, metafisico come quelli leggendari di Monte Hellman: Jarmusch, per la prima volta, riusciva a non fotografare l'America, ma un suo abitante. Dopo aver osservato l'estetica americana dall'esterno, quasi da raffinato turista, ad analizzare finalmente il proprio paese; con un'umanità che gli sembrava estranea, sempre volta alle sue minoranze, alle loro tradizioni ed ai loro culti.

"Negri o Indiani, stessa faccenda", dichiara in GHOST DOG il vecchio mafioso italiano. Il killer nutrito di sapienza samurai, che un indimenticabile Forest Whitaker indossa con incredibile leggerezza poetica, forte della propria paradossale, commovente corpulenza si nutre allora di quelle stesse preoccupazioni. Passato e presente s'incrociano, in un gioco non tanto di citazioni burlesche, di parodie ingombranti: piuttosto di una presa di possesso dello spazio cinematografico che si fa sempre più astratta. E con ciò, esilarante ed assurda, al tempo stesso imprevedibilmente toccante. Un girotondo divertito e assolutamente spassoso, ispirato com'è dalla tecnica del disegno animato, dal nonsenso di quei gangster e mafiosi imbranati che Tarantino e compagni hanno ormai insegnato a strapazzare impietosamente: Ma condotto su un gradino che poco ha da spartire con l'ormai solita pistolettata - gag; perché il regista vi introduce tutta una serie elementi poetici. Dai piccioni viaggiatori con i quali il samurai-killer comunica con la malavita, alla ragazzina che gli permette di uscire dalla propria solitudine alla Melville (quello del SAMURAI con Delon) per scambiare dei libri. Alla presenza ricorrente, materiale, di quello che detta le citazioni responsabili del ritmo del film: Hagakure, il Libro dei Samurai, il testo del diciottesimo secolo che da allora permette la trasmissione dei codici di comportamento sui quali si fonda la saggezza di quella cultura. Tutti elementi che permettono a Jarmusch ed al suo Don Chisciotte travestito da musicista rap di coniugare uno dei temi che distinguono il film: la contrapposizione fra l'affidabilità della parola scritta e la magia ingannevole e pure effimera di quell'immagine che il regista manipola con tanta grazia: ma pure a proprio piacimento...

GHOST DOG si afferma per la qualità del divertimento che Jarmusch è ormai padrone di offrire, la grazia surreale delle sue gag: il vicino di casa che si costruisce un battello sul tetto, senza preoccuparsi di come riuscirà a portarselo abbasso; il passero che atterra sulla canna del fucile del killer, impedendogli la vista al momento fatale; la pallottola che risale lo scarico del lavandino, o quella invisibile, mimata per burla dal bambino, che riesce a far vacillare egualmente il gangster. Soprattutto, per la fusione di alcune culture determinanti nelle comunità nere contemporanee, che il regista assimila al suo più o meno ascetico samurai: quella hip-hop, con la sua esaltazione del maschio superman, la gestualità delle arti marziali ereditate dai film kung-fu, la musica (come sempre nei sui film, originale e sapiente) degli RZA,; che qui che imprime le proprie cadenze ad un film, divertente e divertito, elegante e pure umano. Come sempre in Jarmusch, un attimo distaccato nel suo disinibito preziosismo; ma che ogni spettatore finirà per godere immensamente, ed a proprio modo.


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