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LIFE - NON OLTREPASSARE IL LIMITE
(LIFE)
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  Stampa questa scheda Data della recensione: 3 aprile 2017
 
di Daniel Espinosa, con Jake Gyllenhaal, Rebecca Ferguson, Ryan Reynolds, Hiroyuki Sanada, Aryon Bakare, Olga Dihovichnaya (Stati Uniti, 2017)
 

Parte bene, Life Non oltrepassare il limite. Con uno spaccato, immobile e prolungato di quella che una volta sarebbe stato sufficiente definire volta celeste. Lo spettacolo, da sempre fra i più affascinanti per l'umanità, dei milioni di stelle e galassie, apparentemente immobili; ma fra le quali, improvvisamente, appa5re a malapena un minuscolo punto luminoso. In movimento, questo: in quanto si tratta di una Stazione Spaziale Orbitante, con a bordo un equipaggio internazionale in procinto di compiere la scoperta più attesa da anni, la prova dell’esistenza di una vita extraterrestre su Marte.

Parte bene, insomma, il film: anche perché, da qual momento in poi, il regista (Daniel Espinosa, cileno d’origine, nato in Svezia, al suo sesto lungometraggio, ma con Hollywood che sembra essersi accorta di lui) s’impone la giudiziosa disciplina di non più abbandonare lo spazio interno dell’immensa astronave. Conducendo per mano lo spettatore, con eleganza nei movimenti di macchina e profusione di mezzi tecnici a disposizione, a un minuzioso esame dei suoi più reconditi anfratti. A verificarne un futurismo tecnologico, efficacemente riproposto; soprattutto, a farcene assaporare la sua vertigine, dovuta notoriamente all’assenza di gravità. Saranno soltanto i primi sentimenti di una dilagante inquietudine, dovuta, ma solo in parte, a uno spazio materialmente e psicologicamente claustrofobico.

A mutare quel vago malessere in più tangibile angoscia ci penserà allora la natura, assai meno inoffensiva del previsto, dei reperti prelevati dai nostri su Marte: quelli appartenenti ad una sorta di mollusco inerte che il biologo a bordo ricondurrà pazientemente in vita. Ahimè un mostro, a qual punto l’avevamo capito. Dalla crescita e l’aggressività inarrestabili: tali da rendere ben presto vana ogni illusione benevola sull’ospite da parte del più buonista degli spettatori in sala.

Qualche osservatore, a questo punto, ha pure optato per certi umori in epoca Trump. Ma per quel placido osso di seppia che si trasforma in terrificante piovra dai poteri sovrumani la derivazione è cinematograficamente più ovvia. Riportandoci inevitabilmente alla più celebre delle labirintiche invasioni spaziali, quella dell’Alien (1978) di Ridley Scott. Sarebbe infatti ingiusto riandare alle mitiche ascendenti avanguardistiche kubrickiane di 2001:Odissea nello spazio; ma egualmente alla fantascienza più recente, cui è riuscito bravamente fare opera di riflessione su certi interrogativi scientifici attuali come Interstellar (2014).

Daniel Espinosa non è Stanley Kubrick, e nemmeno Christopher Nolan. Ma è per altre considerazioni che un film, apparentemente nato sotto una buona stella, finisce soltanto in una onorevole deriva. Più che fantascienza, quella di Life voleva essere soltanto fanto-horror? Nulla di più certo: quando il film, da un riferimento più che legittimo ad Alien, da un’elegante attenzione formale che si riaggancia encomiabilmente a quella del Gravity di Alfonso Cuaron, imbocca la strada più spiccia. Quella - a rischio quasi inevitabile di approssimazione - del thriller. Quella del " ma ce la faranno i nostri Eroi a tornare sulla terra? ": un interrogativo al quale non intendiamo di certo rispondere.


   Il film in Internet (Google)

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