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ROCCO E I SUOI FRATELLI Film con lo stesso punteggioFilm con lo stesso punteggioFilm con lo stesso punteggioFilm con lo stesso punteggio
  Stampa questa scheda Data della recensione: 15 aprile 1974
 
di Luchino Visconti, con Alain Delon, Renato Salvatori, Katina Paxinou, Annie Girardot, Paolo Stoppa, Claudia Cardinale, Corrado Pani, Spiros Focas, Roger Hanin, Nino Castelnuovo, Adriana Asti, Claudia Mori, Franca Valeri (Italia, 1960)
 

Il 1960 è l'anno in cui in Italia Antonioni ha appena scandalizzato e stupito con L'AVVENTURA e si appresta a girare LA NOTTE. In Francia, Godard ha imposto un nuovo modo di fare il cinema con A BOUT DE SOUFFLE, e Reisnais firma L'ANNEE DERNIERE A MARIENBAD. In un momento di così profondi mutamenti di linguaggio, e anche di idee, un film come ROCCO E I SUOI FRATELLI poteva anche apparire ancorato ad una tradizione e a schemi ben definiti. Profondamente inserito nell'estetica del melodramma italiano, diretta conseguenza del neorealismo ormai ai suoi ultimi sussulti il film trae la sua straordinaria energia dalla coabitazione di quelle due anime viscontiane: lo sguardo che si fa riflessione sul reale (e quindi sul sociale e il politico) e l'amplificazione emotiva e drammaturgica che nasce grazie all'arte del melodramma.


In ROCCO E I SUOI FRATELLI questa coabitazione non costituisce mai un limite: al contrario, confluisce in un romanzo in immagini, una costruzione di possente ampiezza e respiro. Il film è la somma di una serie di esperienze precedenti; il risultato, un capolavoro con delle tonalità che non verranno più riprese in futuro dal regista . Romanzo cinematografico: per la dimensione nella quale si sviluppano i suoi temi, la disgregazione di una famiglia di meridionali giunta a Milano. Ognuno dei figli, cinque, costituisce un capitolo, un tentativo di risposta al dramma esterno dell'immigrazione. E l'arte di Visconti, insuperabile in queste atmosfere oscure e squallide della Milano invernale come lo è nella Sicilia trionfante del GATTOPARDO o nella Venezia decadente di MORTE A VENEZIA, sta nella prodigiosa facoltà di costruzione, di tirare i fili del discorso con un senso del tempo cinematografico che solo i più grandi posseggono.


Transizione dall'adolescenza all'età adulta, da quella delle illusioni a quella dell'angoscia, ROCCO si svolge dolcemente, inesorabilmente, dai suoi momenti di contenuta, mai sfinita rilassatezza a quelli della violenza abbandonata, mai gratuita, consapevole. Dalla bontà del personaggio Delon, alla straordinaria e disperata violenza del rapporto Girardot-Salvatori, al personaggio-fulcro della madre, gli attori che Visconti sembra possedere fino all'intimità più segreta danno forse il meglio di tutta la loro carriera.


A differenza di SENSO, del GATTOPARDO, di MORTE A VENEZIA o di LUDWIG qui non c'è, almeno in apparenza, quel personaggio aristocratico, testimonio impotente e vittima di un trapasso storico e sociale, tipico di tutto il cinema di Visconti. In apparenza: perché qui il personaggio è come smembrato, smitizzato. Nell'underground oscuro della metropoli è ognuno dei cinque fratelli ad essere, ciascuno a modo suo, testimone lucido di una evoluzione tragica ed ineluttabile. Per questo, e proprio per questo, ROCCO si inserisce splendidamente nell'opera di Visconti. Pur essendo profondamente impregnato della lezione più evidente del neorealismo, pur avendo abdicato per una volta agli ori ed ai fasti dei suoi ambienti preziosi per scendere negli scantinati quelli di ROCCO sono identici ai protagonisti delle altre opere del regista. Come quelli, ognuno di essi non può che osservare il disfacimento di un mondo, di un ordine al quale hanno creduto e appartenuto.


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