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IL MATRIMONIO DI LORNA
(LE SILENCE DE LORNA)
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  Stampa questa scheda Data della recensione: 23 gennaio 2009
 
di Jean-Pierre Dardenne e Luc Dardenne, con Arta Dobroshi, Jérémie Renier, Fabrizio Rongione, Olivier Gourmet (Belgio, 2008)
 

Sempre, quando si tratta dei due fratelli del Belgio, ci si ritrova con una sceneggiatura coinvolgente nella sua imprevedibilità, che progressivamente si carica di un peso umanitario ed infine politico fuori dal comune. Ancora una donna, usata dal sistema dei soldi. L'eroina (la solita scoperta, la kossovara Arta Dobroshi) simile a tante altre dei Dardenne, stretta discendente della Rosetta che li aveva rivelati, pronta a tutto, a giocarsi le regole sociali e magari anche quelle più sofferte, le morali, pur di conquistarsi il suo pezzetto al sole in questo nostro sistema globalizzato. Globalizzato nei soldi, ovviamente; che vediamo sfilare ossessivamente fra le dita dei vari personaggi.


Come tutte le altre, Lorna subisce quelle leggi: non potrà mai essere tutta buona o completamente cattiva, dovrà scavarsi uno spazio (letteralmente, con una fisicità che viene a scontrarsi con il proprio corpo) nel cerchio infernale nel quale è rinchiusa. Di conseguenza, dovrà essere a sua volta seguita da un cinema che con la stessa imprevedibilità della protagonista sappia organizzare il proprio gioco per tenere all'erta lo spettatore. Lorna è al servizio del traffico di nazionalità, ottenute grazie ai matrimoni fasulli. Ma il bonus del film fa compiere un passo innanzi nella perversione: il marito provvisorio è scelto dai papponi fra i drogati, categoria fra le più pratiche da far scomparire. Un'overdose al momento giusto ed ecco allontanati i sospetti che potrebbero nascere dalle solite procedure di divorzio.


La novità de IL SILENZIO DI LORNA non è banalmente tecnica: per la prima volta i cineasti hanno usato il 35mm al posto della tradizionale camera a spalla, fluttuante e incollata ai personaggi, del super sedici. Il risultato è uno sguardo che cerca meno di spiare e di spiegare, di scrivere (come dicono loro), ma di registrare.


Superato il pericolo della scomparsa dell'attore feticcio Jannick Regnier, che garantiva un'adesione emotiva da parte dello spettatore, ad imporsi infine è quello sguardo fluido (ma in effetti frutto di un processo di scelta espressivo fra i più scavati) che osserva con una serenità commovente non solo l'universo sconvolgente dell'immigrazione clandestina, ma quello di ogni manipolazione, di tutte le ambiguità che ci condizionano quando osserviamo la realtà.


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