Se non fosse il rispetto per il talento tecnico e lo splendido esordio avuto nel 2011 con DRIVE, la tentazione è di definire quest'ultimo, ambiziosissimo sforzo di Refin una sorta di porno-glamour o, se preferite, di horror- photoshop.
La storia (anche per questa si fa per dire) sarebbe quella che ha prodotto in passato qualche capolavoro. Il primo che viene alla mente è il genialmente contorto e perturbante MULHOLLAND DRIVE di David Lynch. Dunque, la ragazzina più o meno innocente che sbarca a Hollywood dall'America profonda, qui per diventare una star fra le top model. La nostra pare provvista del dono della bellezza assoluta: non può di conseguenza che suscitare la gelosia più violenta da parte delle sue colleghe.
Tutto è possibile. Se non che Refn sembra animato da una presunzione estetica indicibile, oltre che per tentazioni verso l'horror che andrebbero saggiamente controllate. Alla Cronenberg, diciamo. Qui siamo piuttosto nel solco di un Dario Argento: ma l'estetica clincante così febbrilmente inseguita dall'autore ricorda piuttosto quella super abusata dei rotocalchi di moda e coreografi di discoteca. E la ricerca di una bellezza tutta di maniera, già clamorosamente ostentata nel precedente ONLY GOD FORGIVES. Nel quale ancora si poteva parlare di esercizio di stile: ma già a base di dominanti cromatiche di preferenza rosse come il sangue, tubi al neon e drappeggi, piani fissi, geometrie rigorosamente simmetriche all'interno delle quali collocare gestualità al rallentatore, ieratiche, meglio immobili.
Un po' tanto facile.