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DOPO CANNES 2000, UNA CODA NELLE SALE: LYNCH, EGOYAN, BURTON, JONZEJARMUSCH, SOLDINI, JORDAN, SOFERBERGH, DE PALMA, SCOTT, HUDSON
  Stampa questa scheda Data della recensione: 3 agosto 2000
 
Lynch, Egoyan, Burton, Jonze, Jarmusch, Soldini, Jordan, Soderbergh, de Palma, Scott, Hudson
 

* * * * UNA STORIA VERA, di David Lynch; * * * (*) IL VIAGGIO DI FELICIA, di Atom Egoyan; * * *(*) IL MISTERO DI SLEEPY HOLLOW, di Tim Burton; * * * ESSERE JOHN MALKEVICH, di Spike Jonze; * * * GHOST DOG, di Jim Jarmusch; * * * PANE E TULIPANI, di Silvio Soldini; * * (*) FINE DI UNA STORIA, di Neil Jordan; * * ERIN BROCKOVICH, di Steven Soderbergh; * * MISSION TO MARS, di Brian de Palma; * (*) IL GLADIATORE, di Ridley Scott; * SOGNANDO L'AFRICA, di Hugh Hudson

Il Festival di Cannes precede, alle nostre latitudini i saldi di fine stagione. Eppure, non chiedetemi il perché, mai come in questi giorni sui nostri schermi c'è l'imbarazzo della scelta. E da rabbrividire, pensando che a Lugano, fra poche settimane si oscureranno per sempre i tre schermi del Kursaal. Precedenza assoluta, allora, a UNA STORIA VERA. Nel titolo originale, "straight story": e cioè storia retta, nel senso di rettilinea. Ma, pure, di onesta. Poiché è quella, autentica, di Alvin Straight che a settant' anni percorse i 700 chilometri che separano il suo villaggio nello Iowa dal Winsconsin: per raggiungere il fratello Lyle, rimasto vittima di un attacco, al quale non aveva più rivolto parola da dieci anni. A sette chilometri all'ora, a bordo di un carretto trainato da un &tosaerba. Creatore allucinato, con questa storia tra il folle ed il poetico David Lynch sembra rigenerarsi in una dimensione serena e contemplativa. Sono proprio quei 7 chilometri l'ora a compiere il miracolo: a quel ritmo, a contatto con le prospettive infinite, eterne dei paesaggi (e degli incontri umani) dell'America profonda, un creatore autentico come Lynch finisce per abbandonare il proprio sguardo ad una specie di ordine cosmico. Ad un'incontaminata, semplicissima emozione. Molto del merito è dell'indimenticabile Richard Farnsworth, attore pensionato e resuscitato; e della troppo a lungo dimenticata Sissy Spacek. Ma ad organizzare gli incredibili silenzi del film, i vuoti di un racconto impossibile, la visione contemplativa ed esemplare che sembra uscita dal mondo di un cineasta agli antipodi come John Ford, è il regista nevrotico e riconvertito di BLUE VELVET. Miracolo, certo, di un incontro che confina con lo stato di grazia. E miracolo rinnovato a loro modo da due esordienti, il regista Spike Jonze e l'autore dell'incredibile sceneggiatura di ESSERE JOHN MALKOVICH, Charlie Kaufman. Assieme costruiscono una delle commedie americane più strambe, divertenti, ma pure squisitamente metafisiche degli ultimi anni. Quella di un burattinaio fallito (bravissimo John Cusak) che al settimo piano e &mezzo di un grattacielo che obbliga gli inquilini a vivere piegati in due, scopre un passaggio segreto che porta direttamente dentro un individuo, l'attore John Malkovich appunto. Inizia allora un gioco di specchi esilarante ed ambiguo, nel quale gli echi assurdi di Woody Allen confinano con le allusioni irrispettose alle identità sessuali, il sogno di William Burroughs d'installarsi nel cervello altrui con il surrealismo incantato ed inquietante di Magritte. Divagazione paradossale e curiosissima di un autore di video-clip sull'estensione del nostro spazio mentale all'esplorazione tragicomica dell'identità, il film sfugge in parte nella seconda parte ai suoi autori. Ma l'universo che crea è sapiente, gli attori (oltre a Cusak ed allo stesso Malkovich c'è pure un'irriconoscibile Cameron Diaz) diretti in modo perfetto, la sorpresa impagabile. Tre altre pellicole, sulle quali ritorneremo, completano la panoramica giubilatoria: per chi Hollywood la preferisce taglia e cuci ma tirata al polish, IL GLADIATORE di Ridley Scott, che è quanto di meglio abbia fatto l'autore di BLADE RUNNER da un bel po'. Palati esigenti privilegeranno i riferimenti letterari; e non si lasceranno sfuggire l'adattamento più raffinato dai tempi del miglior James Ivory, il Graham Green di FINE DI UNA STORIA, firmato da Neil Jordan. Se Hugh Hudson spennella accademicamente i paesaggi del Kenya, la Kim Basinger di SOGNANDO L'AFRICA vale (come dubitarne?) il disturbo. Infine, come non bastasse, sbuca all'orizzonte l'ultimo Woody Allen, ACCORDI E DISACCORDI._

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