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L'ORA PIÙ BUIA
(DARKEST HOUR)
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  Stampa questa scheda Data della recensione: 25 gennaio 2018
 
di Joe Wright, con Gary Oldman, Kristin ScottThomas, Ben Mendelsohn (Gran Bretagna, 2017)
 

Il regista inglese Joe Wright non è l’ultimo venuto: a partire dal 2005 di Orgoglio e pregiudizio, seguito da Atonement e Anna Karina, abbiamo sempre ammirato la sua voglia di sfidare progetti impegnativi, grazie a un talento espressivo superiore alla norma. In quanto a Gary Oldman, il protagonista di La talpa (2011) e, prima ancora, i diversi Harry Potter, i film di Christopher Nolan e, a ritroso, il Dracula di Coppola o il JFK di Oliver Stone del 1991 hanno reso comprensibile l’ammirazione suscitata ora universalmente da questo suo Churchill.

Straordinario, per la facoltà di assimilazione gestuale da parte del protagonista, incredibile per l’impegno profuso. Ma Darkest Hours arrischia di vivere quasi esclusivamente in ragione di quest’ultimo. Ogni mattina, ci raccontano, l’attore si è sottoposto a tre ore di trucco per assimilare le varie protesi che lo identificano in modo impressionante al vecchio leone. Grazie alle intuizioni dell’attore, impressionano allora l’incidere cosi particolare del famoso statista, la cadenza delle sue celebri battute, la leggendaria qualità della sua arte oratoria.

Basta, tutto ciò, per ridarci l’intensità drammatica di quello snodo determinante della Seconda Guerra Mondiale? Nella semioscurità di quegli scantinati antibellici sotto Westminster basta l’imbronciata, anche se come sappiamo pure discussa facondia del personaggio a rappresentarne la grandezza? La simpatica bonarietà scontrosa del Churchill casalingo che seguiamo fin dalle mattinate in pigiama costituisce certamente una delle ragioni del successo di L’ora più buia.

Annacquare lo stile ambizioso ma pure incisivo del cineasta Joe Wright rappresentava però l’unica soluzione per riandare alle leggendarie esitazioni di quelle ore? Accettare i dubbi, pavidi fino all’ambiguità, dei Chamberlain e Halifax sull’opportunità di continuare la guerra; oppure ricorrere alla mediazione di Mussolini, l’illusione di limitare il sacrificio delle vite, auspicare il compromesso di un’inutile, ulteriore sconfitta morale con Hitler?

Si tratta d’interrogativi storici; riproporli a tanti anni di distanza rinviano un po' nel vago quell’impressione di modernismo con la quale avevamo accolto i primi film di Joe Wright. Dimenticando forse il fatto che la drammaturgia del suo precedente Anna Karenina nasceva dal magistero della penna di un Tom Stoppard.


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