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FESTIVAL DEL FILM DI LOCARNO 2016 (3)
COME L'IDRA
  Stampa questa scheda Data della recensione: 16 agosto 2016
 
(2016)
 

 E' un festival particolare. Del quale il vostro cine-scriba, per parafrasare la celebre definizione coniata del vecchio amico Gianni Clerici, non può che riferirne a pezzetti. Perché le esigenze del settimanale obbligano ad azzardare bilanci quando ancora mancano alcune giornate (spesso le più sorprendenti) alle conclusioni. E poiché dono il dell'ubiquità e il dilagare della manifestazione impediscono di visionarne una parte perlomeno esaudiente: Concorso, Cineasti del Presente, Piazza, Fuori Concorso, Histoires du cinéma, Open Doors, Panorama Suisse, Signs of Life, Film delle Giurie, Settimana della Critica, Academy Screenigns . Anche tralasciando la sezione internazionalmente più appetibile e raffinata, la Retrospettiva con la sua settantina di proiezioni, Locarno è un'Idra che di teste ne può vantare ormai il doppio delle nove tanto temute dai Greci. Per tradizione ci occupiamo delle due ritenute (ma sarà sempre cosi?) più delicate e rivelatrici, Concorso ufficiale e Piazza. Il primo perché è consultando la qualità della sua programmazione che inizia internazionalmente il giudizio su quanto la manifestazione continui a conservare il proprio ruolo storico. Appetibile e, soprattutto, efficace a livello di contrattazione. La seconda, poiché coinvolge ogni sera migliaia di spettatori. Un'icona, anche solo a livello d'immagine e quindi di marketing. E sappiamo quanto la nostra epoca tenda, anche perniciosamente, a riferirsi sempre di più a questi due aspetti. L'Idra locarnese di tentacoli (quasi autonomi, in termini di programmazione e di responsabili) ne vanta ormai più dei mitici nove; il che può essere anche considerato allettante. Ma la sua testa era quella che gli Antichi consideravano la più temibile; in quanto immortale, e velenosa al punto di uccidere anche solo con il proprio respiro. La Piazza, della quale non ci si può che rallegrare. E diffidare. Su questo ritorneremo nel prossimo numero di Azione; cosi come su alcuni dei film più significativi presentati in quelle due sezioni del Festival. Ma due cose dovrebbero essere ormai chiare. Il Festival vive anche altrove: animato da entusiasmi, da generazioni che evolvono e differiscono una dall'altra. Sposano l'evoluzione e, nel contempo la crisi del cinema e dell'utilizzo dell'immagine. Apportano ognuna nuovi motivi d'interesse. Ma devono essere amalgamate, spiegate, mai sovrapposte fra loro o ignorate nelle loro motivazioni. E non dimentichiamo infine che la sezione di un festival come il Concorso o la Piazza può essere considerata riuscita se sette, otto film della tradizionale ventina proposta sarà ritenuto buono. Ma, allo stesso modo, il tutto risulterà svilito se una metà fra le opere presentate sarà costruita su degli sguardi cinematografici scadenti e insignificanti. Per esistere, insomma, l'Idra le sue teste dovrà farle funzionare tutte, e bene. * * * *** SCARRED HEARTS,, di Radu Jude (Romania) (Concorso) Un film duro, qualcuno dirà cupo. Ma è forse il più solido, ambizioso e difficile da dimenticare di tutta la Competizione. Non fosse che per il soggetto, tratto da una novella autobiografica di Max Blecher, scrittore romeno morto all'età di 29 anni in un sanatorio per una forma di tubercolosi ossea. Quell'ospedale situato in un limbo tra la commedia e la tragedia sulle rive del Mar Nero, quella prigione dalle porte spalancate dalle quali è sempre meno facile (desiderabile?) sfuggire, quei personaggi situati in una durata temporale palpabile quanto indeterminata non possono che ricordare l'immortale La montagna incantata di Thomas Mann. Anche se qui, in un film che ha come fulcro della visione un letto d'ospedale di una struttura medica situata tra le due Grandi Guerre, l'incanto è messo a dura prova. Grazie al rigore e anche a una indubbia perizia cinematografica Radu Jude sconfina miracolosamente da una cornice che non potrebbe altrimenti che risultare deprimente. Per certi aspetti il film sembra assumere gli aspetti di una cronaca di una medicina dalle apparenze arcaiche; ma per subito sfuggire a quella sorta di realismo, per rifugiarsi dal mondo degli incubi a quello dei sogni. Nei quali la malattia è costretta a cedere il passo nei confronti della sessualità dapprima, dell'amore in seguito. Così, il miracolo dello sguardo di un cineasta, dell'interpretazione di un attore confinato negli ingranaggi di una chirurgia obsoleta, finisce per mutare l'esperienza disperata di Max Blecher in un'avventura a tratti scanzonata. *** MISTER UNIVERSO, di Rainer Frimmel e Tizza Covi (Austria-Italia ) (Concorso) Non è forse il film più trascendentale fra quelli passati finora in concorso. Ma quello che ha creato l'unanimità, sollevato l'entusiasmo generale. Il che conta. Una di quelle opere che nascono d'istinto, dal talento e nella felicità; e che di conseguenza vanno dirette alla ragione e al cuore. Ci eravamo forse dimenticati che nel 2012 la pellicola più umanista di quell'edizione, DER GLANZ DES TAGES, aveva rivelato a Locarno due straordinari attori, Walter Saabel e Philipp Hochmair. Interpretavano il rapporto, curioso e poetico, fra un vecchio domatore d'orsi e suo nipote, celebre attore di teatro austriaco che nel film incarnava sé stesso. La cosa si è riproposta: ancora l'universo circense, il giovane domatore Tairo, stavolta di leoni, l'uomo più forte del mondo che forse riuscirà a raddrizzargli il ferro di cavallo bene augurante. Rapporti imprevedibili, nell'ambiente periferico che va in malora come i suoi adorati animali; e interazioni sorprendenti, talvolta consolatorie, che possono pur sempre ricrearsi nel corso di una vita. MISTER UNIVERSO viaggia così all'incontro dei suoi disparati lidi: il documento e la narrazione, la constatazione sociale e la poesia, la ricerca della verità e l'affetto per i personaggi. In un disordine che ha una sua logica poiché riflette quello dell'esistenza. *** SLAVA (Glory), di Cristina Grozeva e Petar Valchanov (Bulgaria) (Concorso) L'attenzione alla condizione umana, ma nel contempo il rispetto di uno stile, di una struttura estetica, anche non appariscente, che valorizzi l'apparente modestia dell'aneddoto ingigantisce questa storia piccola: un modestissimo ferroviere al quale capita di trovare un sacco di banconote sparse lungo i binari. Che la sua onestà finisca per procurargli più guai che onori fa parte di una traduzione consolidata. Ma la restituzione del malloppo alle autorità muta la favola in dramma: in una progressione dapprima comica, poi assurda, quindi violenta. Mentre la farsa svicola ben presto nella denuncia del cinismo e della corruzione; di una sopraffazione sociale e politica che si è fatta sistematica. La commedia si fa anche brutale; senza che discorso di Kristina Grozeva e Petar Valchanov si discosti da un tono diretto e sincero con lo spettatore. Non è da tutti. E, da non perdere: ***(*) POESIA SIN FIN, di Alejandro Jodorowsky (Piazza) *** STEFAN ZWEIG  VOR DER MORGENROTE , di Maria Schrader (Piazza) *** L'ULTIMA FAMIGLIA , di Jan Matuszynski (Polonia) (Concorso) *** MARIJA,, di Michael Koch (Concorso) *** BROOKS, MEADOWS, AND LOVELY FACES, di Yousry Nasrallah (Concorso)

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