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RAGAZZO E L'AIRONE (IL)
(KIMITACHI WA DO IKURO KA)
(THE BOY AND THE HERON)
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  Stampa questa scheda Data della recensione: 7 gennaio 2024
 
di Hayao Miyazaki, con Masaki Suda, Takuya Kimura, Kô Shibasaki, Yoshino Kimura, Shôhei Hino (Giappone, 2023)
 

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E' dal 2004 di IL CASTELLO ERRANTE DI HOWL che l'ottantatreenne giapponese Hayao Miyazaki, maestro assoluto dell'animazione cinematografica contemporanea, annuncia di essere giunto all'ultimo dei suoi capolavori. Una volta ancora, dopo sei anni di lavorazione e l'ennesima meraviglia suscitata da quest'ultimo IL RAGAZZO E L'AIRONE non ci rimane che sperare in ulteriori deroghe alla regola. Sono ormai dodici i film in 34 anni, portati a termine con quest'ultima prodezza, dal cineasta che ha tolto per sempre il disegno animato dall'universo esclusivamente infantile. Continuando a dipingere ancora a mano gran parte dei propri sogni, un'avventura ineguagliabile.  

IL RAGAZZO E L'AIRONE riflette, una volta ancora, il confronto con l'intimità del proprio autore. Nato nel gennaio del 1941, costretto a fuggire da Tokyo assieme alla sua famiglia sotto le bombe americane della Seconda Guerra mondiale,  Miyazaki ricupera una volta ancora molti dei traumi subiti. All'interno di un universo sbalorditivo poichè costantemente ricreato, in uno sfondo, una natura che fatica a difendersi dall'aggressione subita, demonizzata nella perdita progressiva dell'innocenza, nella scomparsa di un caro. La madre scompare fra le fiamme di un rogo immenso, una tempesta al tempo stesso incredibilmente realista ed egualmente mitizzata, irrefrenabile, destinata a durare una vita.

  IL RAGAZZO E L'AIRONE non è di certo un film consolatorio. E' un film denso, a tratti addirittura oscuro e crepuscolare. Così distante dal buonismo che fragilizza gran parte del cinema di animazione dei nostri schermi. Uno stile spregiudicatamente in bilico fra il dettaglio in punta di penna e la meravigliosa paletta impressionistica degli ambientii. Costantemente moderna nel proprio potere straordinario di astrazione, l'arte di Miyazaki traduce allora in termini poetici la scissione fra sogno e realtà sulla quale si è sempre costruita. Fonde l'immaginario occidentale con quello della propria cultura, fugge dal realismo di paccottiglia dilagante per rifugiarsi in quello raffinato dei manga, gioca mirabilmente tra il sacro ed il profano, il derisorio e l'inquieto, se non il tragico.

Lontano da Tokyo, Mahito, il giovane protagonista, incontra nella casa immersa nella natura l'airone cenerino del titolo che l'attira in una sorta di universo parallelo, all'incontro di un bestiario dapprima esaltante, presto vieppiù straniante. Una fuga nella magia immaginifica, in innumerevoli soluzioni fantastiche che dovrebbero riportare la madre a Mahito. Un gioco condotto ai confini dell'inventiva, concreto come il romanzo d'evasione, sfuggente come gli incerti di quello stesso gioco. 

* Vogliate p.f. cliccare su www.filmselezione.ch per la lettura completa della raccolta di critiche cinematografiche FILMSELEZIONE di Fabio Fumagall

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It is since 2004's THE WANDERING CASTLE OF HOWL that the 83-year-old Japanese Hayao Miyazaki, absolute master of contemporary film animation, has announced that he has reached the last of his masterpieces. Once again, after six years in the making and the umpteenth marvel aroused by this latest THE BOY AND THE HERON we can only hope for more exceptions to the rule. There are now twelve films in 34 years, completed with this latest feat, by the filmmaker who has forever removed animated drawing from the exclusively infantile universe. He still continues to paint most of his dreams by hand, an unparalleled adventure.  

THE BOY AND THE HERON reflects, once again, the confrontation with the intimacy of its author. Born in January 1941, forced to flee Tokyo with his family under the American bombs of World War II, Miyazaki once again recovers many of the traumas he has suffered. Within a stunning universe as it is constantly recreated, in a backdrop, a nature struggling to defend itself against the aggression suffered, demonised in the progressive loss of innocence, in the disappearance of a loved one. The mother disappears in the flames of an immense bonfire, a storm at once incredibly realistic and equally mythical, unstoppable, destined to last a lifetime.

THE BOY AND THE HERON is certainly not a consolatory film. It is a dense film, at times even dark and crepuscular. So far removed from the good-naturedness that fragilises much of the animated cinema on our screens. A style unashamedly poised between pen-point detail and the marvellous impressionistic palette of environments. Constantly modern in its extraordinary power of abstraction, Miyazaki's art then translates into poetic terms the split between dream and reality on which it has always been built. He fuses the Western imagery with that of his own culture, flees from the realism of rampant junk to take refuge in the refined realism of manga, admirably plays between the sacred and the profane, the derisory and the restless, if not the tragic.

Far from Tokyo, Mahito, the young protagonist, meets the grey heron of the title in his house immersed in nature, which draws him into a sort of parallel universe, into an encounter with a bestiary that is at first exhilarating, soon to become increasingly alienating. An escape into imaginative magic, into innumerable fantastic solutions that should bring the mother back to Mahito. A game conducted at the boundaries of invention, as concrete as the escapist novel, as elusive as the uncertainties of that same game.

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