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MONSTER - L'INNOCENZA
(KABUTSU)
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  Stampa questa scheda Data della recensione: 22 ottobre 2024
 
di Kore-Eda Hirokazu, con Sakura Andô, Eita, Soya Kurokawa, Hinata Hiiragi, Mitsuki Takahata (Giappone, 2023)
 

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Dopo la fuga in Francia e in Corea che gli ha valso due pellicole non esattamente indispensabili, dopo la splendida Palma d’Oro di Cannes 1978 ad UN AFFARE DI FAMIGLIA (SHOPLIFSTER), finalmente premiando il Giappone 21 anni dopo L'ANGUILLA di Shohei Imamura, Kore-Eda Hirokazu è ritornato a casa. Una specie di ritorno alle origini, che gli ha permesso di rifugiarsi immediatamente sotto le ali di certe poetiche che egli solo sembra possedere.

Si è detto subito di come MONSTER ripercorresse il tracciato seguito da un film divenuto mitico come RASHOMON. Che, soltanto nel 1950 grazie allo sguardo di Akira Kurosawa, aveva rivelato all'Occidente i segreti di un cinema che diverrà imprescindibile. MONSTER riprende in effetti la struttura di RASHOMON, con le tre forme di presunta "verità" divenute celebri, avvolte su loro stesse, lambiccate di dovere prima di giungere alla conclusione di non esistere. In  quanto, per loro natura, essenzialmente soggettive.    

Nell'universo giapponese tradizionalmente solcato dalle scuse, le genuflessioni e pure le ambiguità, le figure dei tre episodi inventati dal romanziere Yji Sakamoto sono diventate quelle di una madre, di un insegnante forse compromesso, di un paio di ragazzini. Il primo degli episodi è dominato dalla madre, che interviene presso la scuola, convinta che il figlio Minato sia vittima di  abusi da parte di un insegnante violento. Il secondo capitolo è tutto per il maestro Hori, che rivedrà assieme agli spettatori certe evidenze fin troppo fragili della situazione. Quindi il terzo, il più poetico e memorabile sui giovanissimi, forse (in un film dai molti forse) lungimiranti protagonisti Soya Kurokawa e Hinata Hiiragi.

Il doppiogiochismo di chi si espone sulla scena, di chi si rifugia nella menzogna quando si tratta di affrontare il privato, sono infatti dei temi che appartengono da sempre al regista.Tutto avviene nel minimalismo, sovente nella tenerezza, che traducono la delicatezza culturale e la sensibilità morale. Sfiorando così i temi dell'assenza, del ricordo, della fragilità del gesto, l'impotenza della parola. Una materializzazione di queste entità così astratte, ma al tempo insopprimibili nella sopravvivenza dei personaggi.

E' un motivo in più per fare dell'estrema attenzione all'intimità di quei sentimenti, ai loro dettagli solo in apparenza minori, una delle eredità più preziose del cinema giapponese, quella dell’universo ormai leggendario di Yasujiro Ozu o di Mikio Naruse.

Contenuti evidentemente elevati, non necessariamente espressi nel melodramma, nell'angoscia o nella negatività. Talvolta, addirittura nella leggerezza, la grazia, l'ironia  propri della poesia.

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After escaping to France and Korea, which earned him two not-exactly-essential films, after the splendid 1978 Cannes Palme d'Or in A FAMILY AFFAIR (SHOPLIFSTER), finally rewarding Japan 21 years after Shohei Imamura's THE ANGUILLA, Kore-Eda Hirokazu has returned home. A kind of return to his roots, which allowed him to immediately take refuge under the wings of certain poetics that he alone seems to possess.

It was mentioned right away how MONSTER retraced the path followed by a film that became as mythical as RASHOMON. Which, only in 1950 thanks to the gaze of Akira Kurosawa, had revealed to the West the secrets of a cinema that would become inescapable. MONSTER actually echoes the structure of RASHOMON, with the three forms of supposed “truth” that have become famous, wrapped in on themselves, lapped up with duty before coming to the conclusion that they do not exist. As they are, by their very nature, essentially subjective.

In the Japanese universe traditionally furrowed by apologies, genuflections, and even ambiguities, the figures in the three episodes invented by novelist Yji Sakamoto have become those of a mother, a possibly compromised teacher, and a couple of young boys. The first of the episodes is dominated by the mother, who intervenes at the school, convinced that her son Minato is being abused by an abusive teacher. The second chapter is all about the teacher Hori, who will review with the viewers certain all-too-fragile evidence of the situation. Then the third, the most poetic and memorable about the very young, perhaps (in a film of many maybes) forward-looking protagonists Soya Kurokawa and Hinata Hiiragi.

The double-dealing of those who expose themselves on the stage, of those who take refuge in lies when it comes to dealing with the private, are indeed themes that have always belonged to the director.Everything takes place in minimalism, often in tenderness, which translate cultural delicacy and moral sensitivity. Thus touching on the themes of absence, remembrance, the fragility of gesture, the powerlessness of speech. A materialization of these entities so abstract, but at the same time irrepressible in the survival of the characters.

It is all the more reason to make the extreme attention to the intimacy of those feelings, to their only seemingly minor details, one of the most precious legacies of Japanese cinema, that of the now legendary universe of Yasujiro Ozu or Mikio Naruse.

Clearly elevated content, not necessarily expressed in melodrama, angst or negativity. Sometimes, even in the lightness, grace, irony proper to poetry.

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