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Vent'anni dopo L'UOMO IN PIU', delizioso e in buona parte ignorato suo film d'esordio, Paolo Sorrentino ritornava alla Napoli dove è nato a cresciuto. Nel 2015, in YOUTH - LA GIOVINEZZA, dava segni rallegranti di qualche ripensamento a favore di un'arte del ricordo degna di una sua indiscutibile intraprendenza estetica. Non eravamo infatti stati teneri con LA GRANDE BELLEZZA (2013) addirittura Premio Oscar nel 2013, ritenuto da alcuni come il suo film più grande. Quando si limitava ad essere il suo più celebrato. Troppo sbandierato Fellini , in quel doppio filo imprudente con LA DOLCE VITA, in quella stessa Roma che sappiamo quanto essere bella, esausta e degradata. Con il grande Servillo, pure lui incautamente accostato al sommo Marcello che tutti sappiamo.
E' STATA LA MANO DI DIO rimetteva nel 2021 molte carte al loro posto. In parte grazie alla mano divina del titolo, ovviamente quella di Maradona. La stessa che gli permise di segnare una delle reti più proibite e cariche di conseguenze della storia del calcio. Più che di Maradona sarà però il film a dirci, e quanto, del proprio autore.
Nella sua ricostruzione coerente, quasi mai inquinata in nome di forse seducenti ma devianti tentazioni, sarà una sorta di racconto di formazione, assumerà il peso di una confessione autobiografica. Sorrentino appare allora alimentato dal ricordo, da una memoria aggraziata, non solo grazie ad immagini che sappiamo quanto sapienti, ma nei suoni, nelle tinte sgargianti oppure fuse dei vicoli napoletani, la profusione di addobbi che il cineasta cinquantenne dispensava con la generosità che gli è congeniale. Il film si affermava allora come il risultato più compiuto, al tempo stesso gioiosamente divertito quanto drammaticamente vissuto, di una filmografia che sappiamo non indifferente.
Ora, PARTHENOPE sembra essere messo in scena per ritornare a contraddizioni talvolta imbarazzanti. Con cadenze lentissime, nella ripetizione a tratti esasperante delle finalità estetiche, Sorrentino tenta forse di condividere le mutazioni della sua conturbante, un attimo glaciale milanese Celeste Dalla Porta, approdata sulle spiagge napoletane quale indubitabile mitica sirena. Ma il cinema si costruisce talvolta pericolosamente sulle qualità di uno sguardo. Più concretamente, anche sulla solidità se non la criedibilità di una sceneggiatura.
PARTHENOPE soffre di tutto ciò e altro, crudelmente prolungandosi per i suoi 136 minuti. Dove la partecipazione autobiografica del cineasta, la sua ansia nell'arte del ricordo sI misurano confrontandosi creativamente con l'ambizione. _____________________________________________________________________________________
Twenty years after L'UOMO IN PIU', a delightful and largely ignored debut film of his, Paolo Sorrentino returned to the Naples where he was born and raised. In 2015, in YOUTH - THE YOUTH, he was giving cheering signs of some rethinking in favor of an art of remembrance worthy of his unquestionable aesthetic resourcefulness. Indeed, we had not been tender with THE GREAT BEAUTY, even an Oscar winner in 2013, considered by some to be his greatest film. When it was merely his most celebrated. Too much flaunted Fellini , in that imprudent double strand with LA DOLCE VITA, in that same Rome that we know how beautiful, exhausted and degraded it is. With the great Servillo, also unwisely juxtaposed with the supreme Marcello we all know.
IT WAS THE HAND OF GOD put many cards back in their place in 2021. Partly thanks to the divine hand of the title, of course Maradona's. The same one that allowed him to score one of the most forbidden and consequence-laden goals in soccer history. More than about Maradona, however, it is the film that will tell us, and how much, about its own author.
In its coherent reconstruction, almost never polluted in the name of perhaps seductive but deviant temptations, it will be a kind of coming-of-age tale, taking on the weight of an autobiographical confession. Sorrentino then appears to be fueled by recollection, by a graceful memory, not only thanks to images that we know how skillful, but in the sounds, in the garish or melted hues of the Neapolitan alleys, the profusion of adornments that the 50-year-old filmmaker dispensed with the generosity that is congenial to him. The film then established itself as the most accomplished achievement, at once joyously amused as much as dramatically experienced, of a filmography that we know is not indifferent.
Now, PARTHENOPE seems to be staged to return to sometimes embarrassing contradictions. With very slow cadences, in the sometimes exasperating repetition of aesthetic aims, Sorrentino perhaps attempts to share the mutations of his perturbing, one moment glacial Milanese Celeste Dalla Porta, who landed on the Neapolitan beaches as an indubitable mythical siren. But cinema is sometimes dangerously built on the qualities of a gaze. More concretely, also on the solidity if not the criedibility of a screenplay.
PARTHENOPE suffers from all that and more, cruelly prolonging itself for its 136 minutes . Where the autobiographical participation of the filmmaker, his anxiety in the art of remembrance measure themselves by creatively confronting ambition.
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