Una leggenda cara alla tradizione giapponese, e che altri registi in passato (Kinoshita, Ichigawa) avevano tradotto in immagini teatrali e stilizzate portata ora sullo schermo da uno specialista del realismo contemporaneo. Imamura, che pochi in Occidente conoscono se non per il frenetico e quasi iperrealista La vendetta è mia (1979) ha finito con lo sconcertare tutti, a cominciare dai giurati di Cannes che si sono trovati inaspettatamente di fronte ad un poema di classicismo plastico, e l'hanno naturalmente premiato.
E lo sconcerto degli spettatori può venire dal fatto di trovarsi di fronte ad un film apparentemente classico se non accademico. In effetti, girando il suo film in soli ambienti e luce naturali, Imamura ha scelto la strada del naturalismo più puro, immergendolo in quelle credenze e forze primitive che caratterizzavano la società e la cultura giapponese prima dell'avvento della civiltà (che qualcuno inquadra fra virgolette) occidentale.
La ballata dl Narayama si richiama quindi ad un ordine cosmico, ad un rapporto quasi biologico con il mondo animale e vegetale: con l'avvicendarsi delle stagioni, delle nascite e delle morti, fino a raggiungere quel soprannaturale e quell'irrazionale al quale tende gran parte dell'opera dell'autore.
Leggenda e studio etnologico quindi, ma anche intervento sulla realtà contemporanea giapponese. Non a caso Imamura stesso, in un'intervista raccolta da Max Tessier, diceva: "La società attuale mi appare come un'illusione, e la vita descritta ne La ballata di Narayama come la vita reale, naturale: per me, il Giappone attuale altro non è che pura finzione. "