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M. BUTTERFLY
(M.BUTTERFLY)
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  Stampa questa scheda Data della recensione: 24 gennaio 1994
 
di David Cronenberg, con Jeremy Irons, John Lone, Barbara Sukowa (Stati Uniti, 1993)
 
"Una storia vera, anche se tratta da una pièce teatrale.

Jeremy Irons è uno di quei piccoli funzionari, più dotati per i giochi mondani, le infatuazioni ed i rischi dell'adulterio che per le analisi politiche, dei quali il mondo diplomatico non è mai stato avaro. Anche se in Cina mancano pochi giorni alla Rivoluzione Culturale, il nostro sembra piuttosto attratto dal fascino di una cantante cinese che si cimenta all'Ambasciata svedese in alcuni brani della Madama Butterfly. Tanto da seguirla, nei giorni seguenti, in quell'Opera di Pechino che gli garantisce maggiori approfondimenti - tragicamente approssimativi, come osserveremo meglio in seguito - e ben altre autenticità. Lui insiste, lei cede: anzi, per dirla alla cinese, gli "fa dono della propria vergogna".

Perché no: conoscendo gioie e dolori delle sottomissioni di tante Butterfly al crudele padrone bianco. Se non fosse che le cose si guastano, prima ancora d'incominciare: e che si guastino (ed assieme a loro, fatalmente, il film) è subito noto anche ai più distratti fra gli spettatori. Che non hanno nemmeno dovuto attendere ADDIO MIA CONCUBINA di Chen Kaige, per essere edotti del fatto che le prime donne dell'Opera cinese sono sempre state dei - almeno per l'anagrafe - maschietti. Ma che le immagini di M. BUTTERFLY (forse incrudelite dal doppiaggio in italiano?) privano clamorosamente di ogni dubbio invero sacrosanto: quell'ombra di baffetti, che la spettacolare nitidezza della mitica fotografia alla Cronenberg rende ancora più evidente, senza contare qualche mossa che fatalmente tende a trascendere in mossetta.

Ma non è finita: poiché Butterfly è una spia al servizio del regime, i nostri due si ritroveranno anni dopo in un tribunale parigino. E ancora, Jeremy Irons, sembra non essere molto in chiaro su una situazione pur protrattasi per anni: non ha mai visto la sua amante nuda ("anche la più dolce delle epidermidi diventa come cuoio quando l'uomo la tocca troppo spesso", diceva lei...), ma il boccone è un po' duro da ingoiare, anche per il più disponibile fra i cinefili in sala. E per i giudici: che difatti si premurano di affibbiare l'espulsione al cinese, e sei anni al nostro povero diplomatico.

C'è insomma un clamoroso errore di casting, all'origine del pasticcio di M. BUTTERFLY? Pare incredibile: tanto la scelta di John Lone (il pur bravissimo protagonista de L'ULTIMO IMPERATORE di Bertolucci e di L'ANNO DEL DRAGONE di Cimino) pare inappropriata, se si trattava di coinvolgere lo spettatore nell'equivoco in cui cadeva l'appassionato - anche se un poco ciolla - Jeremy Irons. Poiché non è difficile comprendere cosa abbia sedotto - in questa storia di sentimenti che dovrebbero andar ben oltre le apparenze, il corpo e la materia - il gran prestidigitatore di INSEPARABILI.

Come nel fulgore di quella storia sui due gemelli ginecologi - che molti ricorderanno - anche la forza dei personaggi di M. BUTTERFLY si trasforma in fragilità, la debolezza in energia di sopravvivenza, la consapevolezza in determinazione: tutti gli elementi del film - drammaticamente eguali e diversi al tempo stesso - s'incrociano, si misurano e s'invertono. M. BUTTERFLY - proprio come nel cinema del regista canadese che lo precede - si fa allora meditazione sulla relatività delle apparenze.

Grazie all'uso dell'ellissi, che è poi quella del dire fra le righe, di far viaggiare "oltre le apparenze" la fantasia dello spettatore fino al prolungamento del "non detto": il corpo della donna, che indoviniamo senza mai scorgere, si tratti poi di un esame ginecologico o di un incontro sessuale. Gli strumenti chirurgici di INSEPARABILI, mostruosi e misteriosi, che non vedremo mai all'opera. Ed il contatto con la carne, che da sempre è l'elemento portante del cinema del regista.

Il cinema di Cronenberg nasce dalla fascinazione per la duplicità, l'amore per l'illusione, le contraddizioni fra lo spirito e la materia: l'ambiguità della Carne come ambiguità morale. Ma perché ciò avvenga occorre che le immagini del film trasmettano quella medesima ambiguità che attrae, perde e finisce per redimere i protagonisti di Cronenberg: ciò succede in M. BUTTERFLY solo verso la fine. Quando, appunto, i giochi sono ormai fatti, quando i dubbi così mai governati all'inizio del film non preoccupano ormai più lo spettatore. Allora, e soltanto allora, le immagini del film acquistano quella forza drammatica, quella commozione dietro al cinismo della raffinatezza compositiva, alla quale ci aveva abituato la duplicità dell'universo di Cronenberg. E la musica di Puccini, fino ad allora relegata nel solo titolo, può innondare un finale

tra il grottesco e lo straziante: l'hara-kiri del diplomatico ormai travestito, in quella Butterfly più raggiungibile di un amante che si allontana in jumbo jet."


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