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COSI RIDEVANO Film con lo stesso punteggioFilm con lo stesso punteggioFilm con lo stesso punteggioFilm con lo stesso punteggio
  Stampa questa scheda Data della recensione: 22 novembre 1999
 
di Gianni Amelio, con Enrico Lo Verso, Francesco Giuffrida, Fabrizio Gifuni (Italia, 1999)
 
Un film è lungo, faticoso e complesso da portare a buon fine. È il risultato di una gestazione corale che, per quanto teoricamente sottomessa al controllo del regista, arrischia ad ogni istante di perdersi per strada. Ecco perché esistono tanti modi di sbagliare, o di riuscire un film.

Quello più degno di encomio, poiché lastricato dalle migliori intenzioni, servito da mano esperta e talvolta creatrice è il caso di COSI RIDEVANO, Leone d'Oro alla Mostra di Venezia 1998. Come non approvare, infatti, una storia ambientata fra gli immigrati siciliani della Torino anni 50 e 60, esempio ormai doveroso pensando immigrazione, scontro sociale, condizione operaia, contraddizioni del boom economico? Come non rispettare l'ambizione di un autore che - non pago di tutto quel bene (si fa per dire) di Dio - ci mette pure i nodi di un rapporto edipico discretamente contorto: quello di un fratello maggiore analfabeta (Enrico Lo Verso), che si consuma la pelle addosso in stenti indicibili, pur di mantenere agli studi il minore (Francesco Giuffrida), oggetto di attenzioni quasi ambigue, di certo oppressive nel loro esasperato buonismo, destinate a permettergli il riscatto sociale? Aggiungete l'impegno di una ricostruzione storica agiata (automobili datate come in un rally belle époque) e pure la nebbia sgocciolante fotografata da Luca Bigazzi; otterrete un film faticoso, a metà strada tra la cronaca verista alla Zola ed il melodramma sociale alla ROCCO ED I SUOI FRATELLI. Lo studio affrettato di un momento politico e sociale (due cortei sventolanti bandiere rosse, un paio di scorci di fabbriche e di accenni alla Fiat) ed una introspezione psico-sociologica (la degenerazione della solidarietà famigliare o il ricorso al potere mafioso come costanti per spiegare il perdurante rigetto meridionalista). Il film di Gianni Amelio si avvia come un affresco populista ed un po' strappalacrime per arrampicarsi sulle metafore ardite, viaggiando in due solitudini in definitiva aride e scostanti, come in un romanzo intimista ottocentesco. Colpa di una sceneggiatura traballante, zeppa di ripensamenti ed ellissi sconsiderate; con un ottimo attore come Lo Verso affannato a colpi di lacrimose occhiate al rimmel. E l'imbambolato fratellino ancora più smarrito dello spettatore sul significato di un ruolo che il taglio registico stenta a conferirgli, agnello sacrificale, parassita indolente, intellettuale mancato o looser predestinato.


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