"Contrabbandato agli inizi della carriera per uno specialista del "suspense" da un'America orfana di Alfred Hitchcock, Brian de Palma, lo si vede di film in film, ha poco da spartire col regista di PSYCHO. Hitchcock era un razionale, uno che non muoveva la macchina da presa in avanti o di fianco, che non faceva una dissolvenza, un'ellissi nella sceneggiatura o un effetto di montaggio se non esisteva una giustificazione ben precisa. E l'interesse del suo cinema stava proprio in quella meravigliosa meccanica, nell'armonia ancor oggi insuperata con la quale organizzava le proprie forme nel fine, ma si, di impaurire o perlomeno inquietare.
Brian de Palma ha un amore ben diverso per il mezzo cinematografico. Più passionale, incontrollato.
a sua aspirazione maggiore, si direbbe, risiede nel poter sposare, letteralmente, lo sguardo della cinepresa. Osservare, essere osservato, ma soprattutto godere di quel potere assoluto (a condizione di saperlo governare) che dona la visione cinematografica. Far parte di quello sguardo significa, in ultima ratio, piegare la materia. E così, in Carrie, attraverso lo sguardo della protagonista, deviava i getti d'acqua dei pompieri che dovevano spegnere l'incendio. E qui svita i bulloni che bloccano la ruota della giostra, solleva individui fin sotto il soffitto e li fa roteare vorticosamente fino a svuotarli del loro sangue. Per far tutto ciò de Palma, ovviamente ha bisogno di storie adeguate: da qui la sua passione per le vicende di parapsicologia, le sorelle psichiche di Sisters, la paramnesia di Obsession, i mostri gentili che nel Fantasma del paradiso o in Carrie erano vittime dei malvagi.
Fury è una storia sconclusionata di due giovani dotati di forze parapsicologiche che vengono requisiti dal Potere per meglio sfruttare, a scopi ovviamente nefandi queste loro qualità. Se i due giovani hanno dalla loro il sovrapotere naturale della propria visione, i cattivi guidati da uno spaesato John Cassavetes si basano su un altro tipo di visione, quella tecnologica, fatta di schermi televisivi, cineprese miniaturizzate, e via dicendo. Fury avrebbe potuto essere proprio questo: una dissertazione su due qualità di visione, una naturale ed un'altra tecnica. Ed era probabilmente in questo senso che de Palma voleva andare. Ma per rinunciare all'aneddoto, per dare totalmente nell'invenzione visionaria, bisogna avere del coraggio, una libertà nei confronti della produzione e della maestria. Tutte cose che de Palma, almeno in parte, non possiede. Così il film non rinuncia alla storia: e questa, oltre che incomprensibile diventa risibile. Le psicologie, sia quelle "para" che quelle di tutti i giorni, si perdono persino in innamoramenti senza capo né coda.
Qualcuno, per difendere il film, ha sostenuto che de Palma era ormai preda totale del fascino della cinepresa, e dimentico quindi dei principi della narrazione e delle strutture drammatiche. Tutte balle: nel suo ultimo film, Dressed to kill ritorna allegramente alla storia, al suspense tradizionale. Senza per questo evitare di cadere in altri tranelli. Soltanto, con ogni probabilità, perché così voleva il suo produttore."