Se COMPLESSO DI COLPA è giunto sui nostri schermi piuttosto in ritardo, e se CARRIE arriva relativamente in fretta, è solo perché il secondo è un film di successo commerciale. Non solo: è il primo grande successo di pubblico di De Palma. Eccolo ormai diventato, dopo questo film che ha richiamato la folla probabilmente perché s'iscrive (apparentemente) nel filone L'ESORCISTA e compagni, un coccoIone dei produttori. Proprio come i suoi amici Scorsese, Lucas e Speilberg per i quali, il poverino, doveva nutrire qualche recondita invidia.A dire il vero, già che siamo in argomento, CARRIE è in debito verso AMERICAN GRAFFITI (il primo film di George Lucas) di qualcosa di più del semplice piacere della citazione. Tutta la parte del film che riguarda il ballo, e cioè tutta la parte più importante, tutta l'atmosfera che riguarda i giovani, tutto quello che serve a -intelligentemente - sdrammatizzare il film, è presa in prestito clamorosamente dal film di Lucas. A tal punto che qualcuno ha scritto che l'allievo - De Palma - aveva sbirciato vergognosamente sul compito del primo della classe.
Diciamo subito di non essere di quest'idea: CARRIE è uno dei migliori film di De Palma, questo presunto erede di Hitchcock, questo erede della significativa tradizione fantastica nel cinema di oggi. Parlando di OBSESSION, e prima ancora di SISTERS e di IL FANTASMA DEL PALCOSCENICO abbiamo già detto quali siano i pregi ed i difetti di De Palma, ambedue piuttosto chiari. De Palma è un abilissimo manipolatore di forme cinematografiche: questo gli permette da un canto di costruire delle opere assai stimolanti espressivamente. Da un altro, questo è un suo limite: perché spesso la credibilità, la consistenza umana dei personaggi e delle vicende va a farsi benedire. Diciamo, un po' semplicemente, che le sceneggiature dei suoi film sono talvolta un bel pasticcio. Gli permettono, a tratti notevoli intuizioni, ma riflettono anche un disordine che sfiora l'ambiguità. Se CARRIE è tra le sue riuscite, è proprio perché è il più ordinato dei suoi film, nella conseguenza del racconto. E perché i suoi personaggi raggiungono una loro credibilità umana, al di là della storia che è un puro pretesto.
A De Palma, infatti, il romanzo di Stephen King dal quale il film è tratto, è interessato solo per determinati risvolti. Ha infatti notevolmente ridimensionata la carica di antipuritanesimo che era alla base del libro: il personaggio della madre di Carrie, la fanatica bigotta e sessuofoba che accoglie le prime mestruazioni ella figlia come una maledizione divina, è relegato in secondo piano. E con lei tutta la serie di implicazioni mitiche o simboliche che avrebbero trascinato il film verso altre direzioni. In CARRIE si sviluppa e si perfeziona assai bene quello che è il tema ricorrente all'opera di De Palma, la solitudine. Carrie diventa un "mostro", per la cosiddetta opinione pubblica, non perché vi sia predestinata biologicamente, o tantomeno perché vi siano delle intenzioni del regista di inserirla in una sua meditazione sul satanismo. Ma solo perché le regole della società, la spietata volgarità delle compagne di scuola la ricaccia nel mondo di solitudine nel quale la famiglia l'aveva relegata. In questo senso tutta la parte centrale del film, il complotto delle compagne per mandarla al ballo col fusto della classe, l'intervento dell'amica buona e di quella cattiva, il voltafaccia sentimentale del ragazzo sono costruiti in modo esemplare.
Tutto il cinema del regista si basa, formalmente, sul fascino dello sdoppiamento. E anche qui: Carrie, Cenerentola che da vittima diverrà carnefice, è situata esattamente nel mezzo di un triangolo costituito dalle due amiche. La "buona" costruisce il proprio complotto per aiutare Cenerentola. La "cattiva", in modo esattamente opposto, riflesso, distrugge la costruzione della prima. Dal riflesso di questo sdoppiamento (che De Palma traduce formalmente con lo "split-screen", quel procedimento che permette di dividere lo schermo in più sezioni, e mostrare contemporaneamente diverse azioni o personaggi) nasce la violenza, la distruzione di Carrie, il cataclisma finale. Altra costante del cinema di De Palma, la distruzione totale, il trionfo dell'orrore allo stato puro. Che è la sola dimensione, quella finale, nella quale la solitudine dei suoi personaggi riesce a trovare conforto e soddisfazione.
Per questa sua facoltà di far viaggiare nel mondo dei sogno, sulle ali di quel fantastico che spesso è intriso di ricordi letterari e figurativi del passato, il cinema di De Palma è indubbiamente interessante. Anche se non bisogna dimenticare molti limiti che ancora caratterizzano il suo stile: il ricorso a certe immagini facilmente "flou", alle riprese rallentate, alle angolature presunte psicologiche delle inquadrature, ad un certo simbolismo di paccottiglia. Basterà comunque la sequenza del ballo (pur con le riserve su certe pennellate prese in prestito dall'amico Lucas) per dimostrare come De Palma sia un regista di notevole talento. La illusione di felicità della bravissima Sissy Spacek, la trasformazione del ragazzo che comprende per un attimo la verità - e che è resa con una delicatezza magnifica -, la macchina da presa che gira attorno ai due nel solo momento ottimista del film, gli sguardi degli altri partecipanti in un'atmosfera che assume vieppiù i toni espressionistici, fino al dramma farsesco, che è reso con una dinamica degna del maestro Hitchcock. Una volta tanto, quindi, l'incontro con il successo pubblico non ha coinciso con lo sviluppo dei temi morali. Al contrario, proprio in questo film che poteva sembrare una semplice riesumazione commerciale degli esorcismi di successo, De Palma riesce a proteggere e a valorizzare la propria vena umana e poetica. La sola che giustifichi i suoi virtuosismi stilistici.