Perché è proprio ai toni della commedia più o meno all'italiana che si affida stavolta l'Ozpetek dai temi di sempre, l'accostamento dell'omo all'eterosessualità, la famiglia e gli amici che alla fine, magari grazie a qualche atto di fede nel buonismo, sollevano dalle pene dell'intimo grazie alla loro solidarietà.

La critica italiana sembra avere accolto con grande favore questo passaggio alla satira di un autore tanto sensibile quanto indulgente nei confronti dei melodrammi consensuali. Niente di più certo. Perché se MINE VAGANTI prende avvio con alcuni graffi satirici sul perbenismo è dalle parti della farsa che il suo film arrischia costantemente d'impantanarsi. Peggio, del paradosso: che minaccia immancabilmente i limbi della comicità mal posseduta. Della buona fede dell'autore di tanti film impegnati nei confronti dei pregiudizi borghesi sarebbe ingiusto sospettare. Ma è un fatto che più quell'apparente provocatoria faccenda dei due fratelli in gara liberatoria avanza, più il retaggio perbenista dell'autore sembra riaffiorare e ottenere risultati opposti a quelle che erano certamente le sue intenzioni.

Via via galleria di mostri da fustigare ed ennesima rievocazione di vizietti di una tradizione a successo, balletti a mossette che eppure riescono così bene agli americani, o infilata più mortificante di caricature sfuggite ad una mano solitamente leggera, MINE VAGANTI arrischia di rendere vieppiù intollerante lo spettatore. Il che, per un film nato per prendersi beffa dell'omofobia non rappresenta proprio il massimo.