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OLIVER TWIST
(OLIVER TWIST)
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  Stampa questa scheda Data della recensione: 21 ottobre 2005
 
di Roman Polanski, con Ben Kingsley, Barney Clark, Frances Cuka, Harry Eden (Gran Bretagna, 2005)
 
Adattare l'ennesima versione (il riferimento essendo sempre quella di David Lean del 1948) del capolavoro di Charles Dickens eguale a operazione di riesumazione accademica? Meglio andarci piano: non fosse che per il fatto che a proposito del precedente, e più dolorosamente autobiografico dei film di Roman Polanski, IL PIANISTA, si emise la medesima, sbrigativa sentenza. Salvo ripensarci: che il sulfureo, irriverente polacco avesse incanalato la propria passionalità espressiva in un classicismo che solo poteva contenere delle emozioni che risalivano al ghetto di Varsavia. Che i deliri di ROSEMARY'S BABY o anche di FRANTIC si erano sublimati ma non necessariamente prosciugati nella progressione drammatica o l'ambientazione tenuta a freno della Palma d'oro di Cannes 2002.

Ma le esperienze personali di un grande del cinema moderno che (sarà meglio non sorvolare pure su questo) ha sempre amato sfuggire ai propri fantasmi per rifugiarsi nelle cadenze tradizionali che erano già di TESS, film che già dicevamo essere romantico ma non romanzesco, sono poi veramente evacuate in OLIVER TWIST? Classicismo non significa accademismo, mi sembra il nodo da sciogliere seguendo la visione (mai noiosa, mai risaputa) del film. Dalla prima, straordinaria intuizione che trasforma la stampa d'epoca che fa da sfondo ai titoli di testa in un universo dapprima monocromo e quindi coniugato nelle diverse dominanti cromatiche a seconda dei momenti drammatici, il film testimonia della volontà di ritrovare l'innocenza e magari pure la chiaroveggenza dell'infanzia ( "dopo l'esperienza dolorosa del PIANISTA ho voluto girare un film che fosse come le storie che racconto ai miei due bambini" ) senza mai cadere nell'infantilismo dell'immaginario cinematografico che ben conosciamo.

Attorno al cattivo ma non proprio Fagin (che già aveva sedotto Alec Guinness nel film di Lean), alla sua caratterizzazione di Ebreo nella tradizione orrenda del Süss caro ai nazisti, si nascondono non solo i ricordi del piccolo Polanski ma tutta l'ironia, il senso dell'horror, la riflessione sull'ambiguità delle certezze, della relatività del bene e del male, del senso tragico del destino, della fatalità che assume le sembianze del sopruso sociale (quei giudici approssimativi, quei benevoli gentiluomini a basettoni che deplorano la fame degli orfani sbrodolandosi) care al regista.

OLIVER TWIST non è BARRY LYNDON; anche perché tutti questi rinvii alla contemporaneità sono meno evidenti, meno distaccati dalle preoccupazioni della ricreazione d'ambiente che nel capolavoro di Kubrick. Ma da li a relegarlo fra le bambinate per il mercoledì pomeriggio ce ne passa.


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