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GUARDATO A VISTA
(GARDE A VOUS)
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  Stampa questa scheda Data della recensione: 20 aprile 1982
 
di Claude Miller, con Michel Serrault, Lino Ventura, Romy Schneider, Guy Marchand (Francia, 1981)
Confesso di avere un debole per i film che nascono come Garde a vue. Come quelli americani degli anni d'oro, quando un produttore trovava un soggetto, noleggiava una troupe, prendeva i divi sulla cresta del

l'onda. E, proprio per ultimo, andava a cercarsi un regista che fosse disposto a cucinargli il tutto. Talvolta, con Preminger, con Ray, Lang o Minnelli nasceva, quasi per caso, un capolavoro. Perché il regista, con

quella somma di addendi che si riassumono nel linguaggio cinematografico, era riuscito non solo a far passare il tutto. Ma a trascenderlo.

Garde a vue, nato in una Francia inizio anni ottanta che sembra finalmente risvegliarsi da un lungo torpore cinematografico, ha visto la luce proprio a questo modo. E quel miracolo, che è quello per il quale passiamo tante ore in una sala oscura si è ripetuto. Il film si ispira ad un giallo inglese come ce ne sono tanti. Michel

Audiard ha scritto infiniti dialoghi, brillantissimi quanto fini a se stessi, negli ultimi vent'anni di cinema francese. Serrault (Il vizietto), Ventura, Schneider sono valori sicuri al box-office: ma producono, solitamente, oggetti di consumo. Nemmeno la vicenda è nuova: in un commissariato di polizia, un flic indaga. Due bambine sono state assassinate e violentate. Con il commissario c'è un avocato di successo, sospettato del delitto. E alla macchina da scrivere, l'agente imbecille e violento.

Per tre quarti d'ora la cinepresa di Miller non abbandona questa stanza, se non per brevissimi flash-back (realizzati anche questi in studio) che visualizzano il racconto dell'avvocato. Fra quattro mura un rapporto di forza e di debolezza, è rimesso continuamente iri questione. Cosi come la nozione, quanto fragile, di verita.

Serrault è straordinario, forse l'attore francese più sottile e trasparente, (purché diretto come lo dirige qui Miller), del cinema francese di oggi. Ventura, una volta tanto, non imita Gabin. E Marchand, che già avevamo

ammirato in Loulou, crea un personaggio meraviglioso dal nulla (lo sbirro alla macchina da scrivere). A completare il quadro giungerà, enigmatica, finalmente trattenuta ed impiegata intelligentemente a controsenso, una sontuosa Romy Schneider. E la vicenda assumerà nuove tinte, nuovi sbocchi, che non vi vogliamo di certo svelare.

Il controllo di Miller sui primi tre quarti d'ora del film è straordinario: non una parola dei dialoghi è fuori di posto, non un movimento di macchina, non un aspetto della sceneggiatura, non un riflesso della

scenografia. In uno spazio chiuso dal quale il gatto e il topo cercheranno inutilmente di fuggire, due umanità si affrontano, si scrutano, si svelano. Ed allo spettatore non rimane che assistere, totalmente affascinato, alla perfezione assoluta dello spettacolo. Attento, soprattutto, a non perdere un solo fotogramma, una sola piega delle labbra di Ventura, un lampo negli occhi di Serrault, una battuta sarcastica di Marchand: perché basterebbe tralasciarne uno solo, di questi istanti, per perdere il filo, incerto, quisihmente seducente di questo confronto.

Se la prima parte del film costituisce una specie di schermaglia dialettica condotta sul filo di un humour e quasi di un'arte del nonsenso strepitosa, la seconda si apre più decisamente sull'umanità dei personaggi, sui

drammi personali che si nascondono dietro le facciate. Il gioco: la farsa inquieta e brillantissima volge in tragedia. Pur rimanendo sul filo di una logica e di una padronanza di linguaggio considerevoli il film perde allora una parte del suo potere di introspezione: abilissimmo scrutatore di fisionomie e di comportamenti Miller manca un po' di lucidità e di cattiveria quando si tratta di dare una pennellata finale alle psicologie. Ma è un'opinione: e non detto che il fioretto di Miller non faccia altretanto male della sciabola.

Film nato all'interno di un sistema com'era quello di Hitchcock o, per rimanere alla Francia, di Duvivier o di Clouzot, Garde a vue riconcilia con l'arte della regia, con un modo assolutumante affascinante di farvi avvicinare ad una realtà apparentemente risaputa grazie alle qualità di uno sguardo rivelatore.

E, come se non bastasse, divertendovi e stimolandovi allo stesso tempo: se volete farvi degli amici, consigliate loro questo film.


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