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di Robert Zemeckis, con Tom Hanks, Helen Hunt
(Stati Uniti, 2000)
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Curioso, per dirla cosi. Mentre aspettiamo ancora i film più belli della scorsa stagione (YI YI di Edward Yang, IN THE MOOD FOR LOVE di Wong Kar Wai, TIGRE E DRAGONE di Ang Lee) ecco con incredibile puntualità, prima ancora di Parigi e forse anche di Londra il campione d'incassi uscito negli Stati Uniti il 22 dicembre scorso (!), CAST AWAY, firmato dall'abile tuttofare Robert Zemeckis. Quando si dice tuttofare si pensa ad un autore anche brillante, ma anonimo. ALL'INSEGUIMENTO DELLA PIETRA VERVE era uno Spielberg senza fede, RITORNO AL FUTURO un Lucas senza mistero, il recentissimo LE VERITÀ NASCOSTE un Hitchcock senza rigore. Questo CAST AWAY poteva, proprio come quelli precedenti, non essere male: poteva riflettere lo smarrimento di un Robinson Crusoe dell'epoca dei viaggi organizzati ed assicurati nei confronti dell'imprevisto, del selvaggio, della solitudine. Comincia pure bene, con delle premesse al naufragio (inevitabilmente annunciato dalla pubblicità) urbane, neutre, fatte apposta - i maestri insegnano - a stimolare l'attesa. Giunge l'incidente: e quando si scatena sulle nostre spalle di spettatori impotenti la furia del dolby non rimpiangerete di aver risparmiato sul biglietto dell'otto volante. Impressionabili astenersi. Paradossalmente, è proprio quando si sbarca assieme all'ancor cicciotello Tom Hanks sull'isola (com'è altrettanto inevitabilmente noto, ci resterà 4 anni nella storia, e molti mesi per le riprese, dimagrendo di 25 chili) che tutto diventa prevedibile. Non tanto per la mancata apparizione di un fido Venerdì, di aborigene in tanga o semplicemente di pesci velenosi fra gli scogli, ma per l'ovvietà delle riflessioni: sull'istinto di conservazione, l'insopprimibile ingegnosità dell'homo sapiens ed il potere supremo della passione amorosa. Se dai capitoli fuga nel mistico e poetico non ci si può attendersi più di tanto (il pallone - totem con il quale colloquiare, l'occhio benevolente della balena, la scomparsa dell'amico feticcio fra i flutti) occorre riconoscere al film anche certi meriti: un modo di affrontare l'oceano con la cinepresa estremamente realistico, il coraggio, con i tempi che corrono, di filmare il silenzio, l'eco della natura e della propria solitudine. Per una volta che gli americani escono dal seminato per dei tempi e degli spazi un po' insoliti, non stiamo troppo a disquisire.
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