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FESTIVAL DI CANNES 2014 (3)
  Stampa questa scheda Data della recensione: 2 giugno 2014
 
Bilge Ceylan, Dardenne, Sissako, Kawase, Rohrwacher, Dolan (2014)
 
UNA PALMA E TANTE SVISTE

Quante volte ci siamo giurati di evitare le dissertazioni sulle decisioni più o meno adeguate delle giurie internazionali chiamate a tranciare ferocemente fra i partecipanti ad un festival di cinema? Eppure, perlomeno fino quando la formula competitiva verrà mantenuta (pare indispensabile per garantirne la vivacità dell'attenzione mediatica; anche se un festival sempre più predominante come Toronto ne faccia tranquillamente a meno) rimane la strada quasi obbligata per penetrare fra i meandri spesso contradditori di queste viepiù bulimiche manifestazioni. Rieccoci allora, ma stavolta per un fatto quasi obbligatorio. Disincantate, cari lettori: i migliori film di Cannes 2014, quelli più giusti, esaltanti, toccanti non li trovate nel palmarès. Sfornato, come dubitarne, con i migliori buoni propositi, dal gruppetto condotto da una grande regista come Jane Campion: per nominarli tutti, quattro attori, Willem Dafoe, Gael Garcia Bernal, Leila Hatami e Carole Bouquet, più quattro registi, Nicolas Winding Refn, Jia Zhangke, Sofia Coppola, oltre alla presidente. Cinque donne e quattro uomini ma, soprattutto e quasi incredibilmente, una sola voce su nove in provenienza dall'Europa. Ora, già in passato avevamo espresso vari dubbi sulle garanzie di lucidità date da un manipolo di volonterosi e pure qualificati turisti, convocati dai quattro angoli del mondo, sbarcati alla vigilia per un soggiorno di una decina di giornate forse inebrianti; ma in uno spazio geografico, culturale, psicologico provvisorio ed estraneo alle loro abitudini. Che dire allora di Cannes che, per un surplus di glamour da tappeto rosso comunque dilagante, rinuncia di fatto a garantire l'appartenenza alle radici di un pensiero del quale fa parte?

Insomma, il meglio dell'offerta sta (quasi) tutto altrove. Con una eccezione, ma dall'importanza sufficiente a salvare la faccia, la Palma d'Oro. Già ve lo abbiamo raccontato una settimana fa: WINTER SLEEP (***) è un grande, assolutamente ammirevole film, anche se sa un po' troppo di esserlo. Quasi che il suo autore, il turco Nuri Bilge Ceylan (senza dubbio fra i dieci cineasti contemporanei più importanti) avesse voluto sottolinearlo: forzando non tanto le affascinanti qualità visionarie che avevamo ammirato nel precedente C'ERA UNA VOLTA IN ANATOLIA (****), quanto il peso letterario, un po' moralista, quasi autoreferenziale delle tre ore e venti dell'opera. Un'altra Palma d'Oro riservata a un cerchio elitario di spettatori, in un'epoca contrassegnata dal ristagno nel consumo di audiovisivi di qualità? Dopo il premio a LO ZIO BOONMEE CHE SI RICORDA LE VITE PRECEDENTI di Weerasethakul (appena più di un milione d'incasso nelle sale di tutto il mondo) c''è chi incrocia le dita.

Ma le altre distrazioni sono imbarazzanti. Di alcune abbiamo già riferito. DEUX JOURS, UNE NUIT (****) dei fratelli Dardenne era la pellicola alla quale la critica internazionale aveva riservato una quasi unanime priorità: per la straordinaria aderenza alla contemporaneità sociale ed esistenziale, per l'incredibile essenzialità espressiva di questa e dei suoi rinvii poetici. Già sufficientemente segnalata in passato l'ineguagliabile maestria dei due fratelli del Belgio? Ma, allora, perché invitarli a concorrere?

L'assenza di una segnalazione qualsiasi fra i premi del film dalla Mauritania di Abderrahmane Sissako TIMBUKTU (*** ½) appare semplicemente sconsiderata: descrivendo in immagini sublimi, con semplice e violenta efficacia nella denuncia, con infinita tenerezza e perfino spassose dosi di umorismo, uno degli orrori contemporanei (la presa di potere dei jihadisti sull'islam moderato in Africa) l'opera di questo grande cineasta di una regione meritevole di ogni attenzione andrebbe mostrata, palma d'oro o meno, in ogni scuola.

Terza dimenticanza in ordine di brivido quella della giapponese Naomi Kawase, giunta con questo STILL THE WATER (*** ½) all'opera più matura e serena di una carriera già segnata dall'originalità espressiva. Come sempre nei grandi maestri di quella cinematografia, la semplicità dell'aneddoto (la nascita di un amore fra due adolescenti, l'accompagnamento alla morte della madre della giovane protagonista) si dilata all'infinito nel respiro con l'ambiente che lo contiene, l'immenso soffio vitale e trascendentale della natura, il contrappunto fra una realtà disegnata sempre con minuzia e una filosofia, una religione che permette all'individuo di rapportarsi ad essa con dolcezza e consolazione. Mai come in quest'ultimo suo film alla regista era riuscita la rappresentazione dell'infilmabile, del non detto ma espresso, dell'iniziazione a quello spazio temibile ma pure confortatore che separa la provenienza della vita dalla prospettiva della morte.

Una volta ignorate del tutto queste tre opere di grande valore spirituale ed estetico i giurati di Jane Campion non è che abbiano completato con discernimento la loro encomiabile Palma. Iniziando dall'importanza dei premi, LE MERAVIGLIE (**) di Alice Rohrwacher ha rappresentato la sorpresa più clamorosa. Oltre che motivo di notevole soddisfazione per l'acume della coproduttrice che conosciamo da vicino (l'Amka Film di Tiziana Soudani), il prestigioso Gran Premio della Giuria sottolinea quella che si prospetta essere una bella carriera di un talento istintivo, semplice e diretto, vicino in particolare al mondo dell'adolescenza. Che poi il più alto riconoscimento di Cannes dopo la Palma sia andata a un'opera assai più fragile dell'incisiva che l'ha preceduta, CORPO CELESTE (***) è un discorso che doverosamente va fatto.

Infine, per cosa sarà ricordata Cannes 2014? Per un film travisato una volta ancora dai nostri: ponendolo, in nome di un giochetto spiritoso un po' telefonato, fra i tanti compromessi: il più giovane con il più anziano, il premio meno prestigioso all'inventore del futuro accomunato alla gloria ormai riconosciuta universalmente: Xavier Dolan pari merito con Jean-Luc Godard MOMMY (****) , sul quale doverosamente ritorneremo, rappresenta ciò che Cannes si rifiuta di essere: l'esplosione, sempre nel segno della continuità rispetto alle grandi linee dell'ormai lungo cammino cinematografico, della gioia di creare, dello sprezzo del pericolo espressivo, della ricerca di nuove forme d'emozione in ogni momento del progetto artistico. Non soltanto i tre protagonisti di MOMMY avrebbero potuto risultare fra i premiati, non solo il premio per la Regia avrebbe potuto coronare il quinto film (a 24 anni!) del ragazzo prodigio canadese, ma pure l'impiego delle musiche, l'improvvisazione delle scelte estetiche, la tenerezza sotto l'impudenza del film. Adeguarsi, insomma, a quanto Xavier Dolan stesso non si stanca di ripetere:  sono i nostri sogni che possono cambiare il mondo.

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I PREMI:

Palme d'or

Winter Sleep di Nuri Bilge Ceylan

Grand Prix

Le meraviglie di Alice Rohrwacher

Prix de la mise en scène

Bennett Miller per Foxcatcher

Prix du scénario

Oleg Negin e Andrey Zvyagintsev per Leviathan

Prix d'interprétation féminine

Julianne Moore

per Maps to the Stars di David Cronenberg

Prix d'interprétation masculine

Timothy Spall per Mr. Turner di Mike Leigh

Prix du Jury Ex aequo

Mommy di Xavier Dolan

e

Adieu au langage di Jean-Luc Godard

Caméra d'or

Party Girl di di Claire Burger, Samuel Theis e Marie Amachoukeli

Prix Un Certain Regard

Fehér Isten (White God) di Kornél Mundruzco

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