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L'INNOCENZA
(L'INNOCENZA)
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  Stampa questa scheda Data della recensione: 25 settembre 1986
 
di Villi Hermann, con Enrica M. Modugno, Alessandro Haber, Teco Celio, Patrick Tacchella, Ivan Verda (Svizzera, 1986)
 
Girato sulle rive del lago di Lugano, tratto da una novella di Francesco Chiesa ma ambientata negli anni appena trascorsi, L'innocenza fa pensare, anche se vi sembrerà strano a John Ford, a Antonioni, a tanti altri (oltre che a Ermanno Olmi per la semplicità rurale, o ai Taviani per il tono distaccato della visione - ma questo è un altro discorso). Dicevo Ford o Antonioni, i primi due che venivano alla mente perché la prima caratteristica del film di Hermann è di riuscire ciò che rappresenta di per sé stesso due terzi nella riuscita di un film: legare una storia, e dei personaggi, ad uno sfondo, ad un ambiente. Prima di essere ogni altra cosa Ombre Rosse era il modo (che diceva tutto sulla filosofia del film) di far attraversare un'immensa pianura ad un cavaliere. Egualmente, La notte il modo di isolare un personaggio, solo anche e soprattutto spiritualmente, contro un muro spoglio di un palazzo.

Il cinema si può fare in cento maniere: ma se uno riesce a legare quello che succede nella storia, e quello che s'intuisce all'interno dei personaggi, al carattere del paesaggio (che può essere, ovviamente anche una stanza con due sedie o, al limite, uno sfondo bianco) ecco che tutta la costruzione anche se magari ha qualche altro aspetto traballante, comincia a prender forma. Ne L'innocenza il primo di questi elementi è il lago. Non ricordo di aver visto, in un film ticinese, un elemento paesaggistico impiegato in modo così espressivo. Lontano dal kitsch conformista e risaputo, e vicino invece al significato che questo elemento ha per chi vive dentro una storia. Il lago de L'innocenza è una presenza costante semplicemente stilizzata (come il resto degli altri sfondi) che scandisce la vita intera del film: è il lago, nella sua quieta ed eterna fisicità, che accoglie le pene come i giochi degli adolescenti. È il lago che serve da frontiera a quello scontro fra adolescenza ed il mondo adulto, fra villaggio dei poveri e città dei benestanti, fra conformismo dei pregiudizi ed apertura di mente.

Hermann ha costruito il suo ambiente come un mosaico: l'angolo di una casa di qua, un pezzo di selciato di là, una darsena da questa parte del lago e un pontile dall'altra. E uno dei passatempi, per noi luganesi, consiste proprio nel tentare di ricostruire la geografia del puzzle. Ma questa operazione non significa soltanto che l'autore è abile: ma che ha saputo distaccarsi a sufficienza dalla realtà, per considerarla nel suo aspetto globale ed utilizzarla in giusta sintesi espressiva, ai fini della riuscita dell'intero discorso. Tutto ciò conduce facilmente alla stilizzazione formalistica, al piacere fine a sé stesso di far comparire un battello dall'angolo a destra in alto dell'inquadratura perché scompaia dalla parte opposta. Se ciò non succede nel film è perché Hermann non soltanto ha saputo saggiamente seguire la strada della semplicità, della discrezione e della modestia: ma ha saputo infondere a quelle immagini di vita trascorsa, di sentimenti giovanili, di giochi di un tempo, l'emozione del ricordo ed il piacere di ricrearlo.

Quando si dice semplice non si vuol dire semplicistico. Se Hermann, forse memore delle difficoltà avute in passato come documentarista alle prese con il cinema di finzione e di recitazione, ha scelto la strada del cinema contemplativo, diciamo brechtiano, alla Taviani (tanto da dedicare un omaggio ai due fratelli nella scena dell'angelo vendicatore... ) è stato giudizioso. Ed ha riuscito un film coerente e compiuto. Ma non sicuramente perfetto: certe sequenze sono drammaticamente insapori (la parte finale, il sindaco che interroga i ragazzi, molti primi piani dell'estatica Modugno, e via dicendo). E, cosa assai più grave, l'ambiguità che è anche la polemica del film (in poche parole: è la maestrina che adesca i ragazzini, o sono questi che si lasciano trasportare dai tradizionali sogni erotico-sentimentali?) se riesce bene a livello fotografico, nelle scene diciamo un attimo scabrose, si perde per strada prima della parola fine.

L'innocenza è un film imperfetto (rimangono sempre, anche se in misura minore rispetto a I matlosa e San Gottardo, certi problemi nella dizione e direzione degli attori, nella tenuta dei ritmi di sceneggiatura, in una certa qual "povertà" che non è soltanto economica) ma che può vantare non poche qualità: i due giovani protagonisti sono introversi e spontanei quel che conta, il colore è usato con scelta espressiva, la musica ed i suoni sono usati significativamente. Non è poco: quanto basta per fare de L'innocenza il miglior film di Villi Hermann. E per dimostrare che anche il Ticino si può cinematografare: basta fare lo sforzo di riflettere un momento.


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