È il racconto del viaggio - autentico, e tramandato dalle lettere all'amante - di Ludwig con l'attore di corte Josef Kainz: nascosti da pseudonimi presi in prestito da Victor Hugo, mentre il monarca visionario tenta disperatamente di far coincidere la statura dell'amico con quella del Mito. In una delle scene più significative del film, facendogli recitare delle scene del "Guglielmo Tell" sul ponte del battello.

Il film vive allora soltanto sull'interpretazione intensissima di Helmuth Berger, una vera e propria identificazione, ma non certamente un'inutile continuazione ("Ho scoperto un altro Ludwig, così lontano dal superman di Visconti: umano, umile, quasi trasandato.")

Ai due fratelli è riuscito l'amalgama fra il visionario principe ed il paesaggio - sontuosamente glorificato - del lago dei Quattro Cantoni: l'incontro fra due culture. Fra la curiosità scientifica del signore alla corte di Baviera, attento alle invenzioni della scienza (e chi meglio dei Dubini, usi a chinarsi sui documenti, sulle fotografie potevano ridarci questo fascino?): e la magia di un ambiente (il vapore del trenino del Righi che si mescola al riflesso dell'alba sulle cime) che confina con il fantastico.

In parte accademico e un po' legnoso, questo LUDWIG risalta nel panorama svizzero per la sua ambizione, la padronanza del linguaggio, l'arte d'inserirsi nell'ambiente con un rigore, un intuito a tratti ammirevole. In competizione al Festival di Locarno 1993"