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EXCALIBUR
(EXCALIBUR)
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  Stampa questa scheda Data della recensione: 8 ottobre 1981
 
di John Boorman, con Nigel Terry, Helen Mirren, Nicol Williamson, Gabriel Byrn (Stati Uniti, 1981)
 
"Nel cuore di ogni artista si nasconde un tema, un'ossessione o un incanto, che egli si porta con sé per tutta un'esistenza. Quello della ricerca di un Graal ha sempre marcato, basta ripensare un attimo ai film che ha fatto, l'opera dell'autore di UN TRANQUILLO WEEKEND DI PAURA (DELIVERANCE) di ZARDOZ o dell'ERETICO.

Da quando EXCALIBUR è apparso a Cannes, il mondo del cinema e diviso fra coloro che lo considerano un Walt Disney, furbo o ingenuo, ma tipico comunque di una prepotenza "culturale" del cinema americano sul resto del mondo. Ed altri che lo ammirano come uno dei pochi esempi di come il cinema riesca ad esprimere l'irrazionale.

Riconosciamo innanzitutto a Boorman una qualità terribilmente assente dal cinema, e non soltanto dal cinema, di oggi: l'ambizione. In questa qualità si riassumono pregi e difetti di EXCALIBUR: per la prima volta si è avuto il coraggio di portare sullo schermo l'intero ciclo delle leggende di Re Artù, dei Cavalieri della tavola rotonda, della ricerca del Graal. Per chi ama un certo tipo di cinema, inteso come viaggio nella favola e nella magia, per chi considera che rivedere per la millesima volta suoni ed immagini di una storia che ci accompagna fin dai primi anni della nostra vita sia qualcosa che non può essere considerato un "déjà vu", ecco che già EXCALIBUR costituirà una visione piena di fascino.

L'ambizione di Boorman comporta anche, naturalmente, dei rischi: EXCALIBUR, che dura poco più di due ore, è un prodotto condensato limato, talvolta forse sacrificato, di un materiale immenso. Di un patrimonio letterario, di un panorama iconografico, di una memoria culturale che è struttura portante del mito europeo. Di questa esigenza di riassumere, il film a tratti risente: ed e probabilemente la causa principale di quanto affrettato nello svolgimento del racconto esiste e disturba.

L'inizio ad esempio, mi pare inorganico nel suo sviluppo. La comparsa (Parsifal) e la scomparsa (Merlino) dei due personaggi-chiave a metà film crea qualche scompenso. Si può discutere sull'uso di certe soluzioni scenografiche che portano all'astrazione della ricerca del Graal. O sull'originalità dell'uso delle musiche di Wagner e di Orff. Ma il cinema di Boorman e quello di un visionario, uno dei pochi autentici visionari capaci di deliziarci con delle intuizioni poetiche che rivalutano il mondo troppo sovente sopravvaluto della creazione cinematografica. E quindi il film merita di essere visto per quello di straordinario che può offrire.

EXCALIBUR inizia dove DELIVERANCE terminava: la spada d'argento che affiora dalle acque di un lago, impugnata da una mano femminile, si ricollega ad un'altra mano, quella ormai celebre dell'inquadratura finale del capolavoro di Boorman. E, come in DELIVERANCE, anche in EXCALIBUR è l'acqua (oltre al fuoco) l'elemento espressivo sul quale il film è basato. Simbolo dell'inconscio, confine fra quella realtà e quell'irrazionale che il cinema di Boorman insegue da sempre. Se le leggende del Graal hanno incuriosito il regista è proprio perché esse rimettono in questione continuamente, con quel mistero che è proprio dell'arte, i contrasti fra natura e cultura, fra misticismo e realtà, istinto e scienza.

La conoscenza non basta all'uomo: nel cinema di Boorman è espressa continuamente, proprio come in alcuni temi fondamentali delle leggende del Graal, il pericolo dei tentativi di conquistare il mondo basandosi esclusivamente sul culto dell'individuo. Merlino, che condensa nella propria personalità l'intero discorso, e che giustamente costituisce il perno sul quale si articola il film, è costantemente in bilico fra magia e razionalità: la sua scomparsa segna la fine dell'epoca degli dei, e l'avvento di quella dell'uomo La scomparsa di Merlino, la spada Excalibur che sprofonda nel lago, altro non sono che rappresentazioni della scomparsa dell'inconscio. Merlino stesso, con la sua magia,il suo potere, la sua facoltà di vedere nel futuro e interpretare il passato, ma anche la sua irrazionalità, la sua debolezza, paura rappresenta l'inconscio.

Sarà Parsifal, il semplice, il buon selvaggio apparso al castello al seguito di Lancillotto che lo ha sedotto (ancora il contrasto fra natura e sapienza) che troverà il Graal, riportando la luce in un mondo piombato nella barbarie dopo la scomparsa di Merlino e della sua fede nell'inconscio. Questi valori, simbolizzati dalla spada, Parsifal andrà a recuperarli nelle acque profonde, in un viaggio a ritroso nel tempo, alla fonte, appunto, di ogni cosa.

Questo alternarsi di fede e di disperazione, di progresso e di barbarie Boorman lo ha espresso sul ritmo più naturale, quello delle stagioni. Dal buio delle prime sequenze, le lotte per il potere e la conoscenza, si passa alla luce trionfante dei boschi irlandesi, ai colori sfavillanti delle armature e del castello di Re Artù. Per ripiombare nel buio dell'inverno, che precede h scoperta del Graal. Boorman ha evitato ogni puntualizzazione storica: le danze sono a metà tra l'indiano e l'arabo, l'architettura spazia dal bizantino al moderno, i costumi e le scenografie in genere ricordano Klimt e i pre-raffaelliti. Questo perché il film è un viaggio dal realismo delle prime scene al mondo metafisico e sempre più interiorizzato della conquista del Graal.

La natura è la vera protagonista. E lo scontro fra natura e cultura costituisce la ragione di essere di EXCALIBUR come di DELIERANCE. Per Boorman vale l'idea junghiana che ciò che di magico c'era nella natura umana - e in particolare i rapporti con la natura - è andato perso. È il il prezzo che l'uomo ha pagato per conquistare la razionalità. Ed è ormai nell'inconscio che queste forze istintive si sono rifugiate; e dal quale possono eventualmente venir recuperate. Se noi osserviamo nel film il modo con il quale Boorman ha inserito i suoi personaggi nella natura, dal buio degli antri allo splendore delle foreste invase dal sole, dal fondo dei laghi invernali alla straordinaria cavalcata fra i mandorli in fiore (forse il momento di maggior espressività di tutto il film) comprenderemo la logica interna che lo governa.

"Tu sei il re - dice Merlino ad Artù -: se riuscirai, la terra darà frutti e prospererà; se fallirai la terra morirà"-. E ancora: Un re senza la spada, la terra senza un re: soltanto il Graal può far rispuntare i fiori ed i frutti". E solo ricollocandosi umilmente in un certo ruolo, riconquistando un'armonia con una natura che ormai lo respinge, ritrovando con Excalibur nel profondo dell'inconscio un'autenticità e una fede nel soprannaturale e nel magico che l'uomo può ancora salvarsi."


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